Scarcerato dopo un anno e tre mesi durante i quali era considerato un militante dell'Isis, il 22enne di Daraa ha trascorso la sua prima vera sera di libertà a Catania, prima di continuare il suo viaggio per il nord. Un'occasione per raccontarsi e analizzare il periodo trascorso dietro le sbarre. Guarda il video
Torna libero il siriano Morad Al Ghazawi Dalle accuse di terrorismo alla caponata
Il piatto riempito generosamente di caponata. E pulito con un’accurata scarpetta. Da bere, solo Coca cola. Succede in una qualunque trattoria di Catania e, a eccezione della scelta della bevanda che farebbe impallidire gli amanti della cucina siciliana, la scena potrebbe anche passare inosservata. Ma non se il protagonista è un giovane siriano di 22 anni appena uscito dal carcere, dov’è stato per un anno e tre mesi con l’accusa di terrorismo. Ha trascorso così la sua prima sera di libertà Morad Al Ghazawi, il ragazzo sbarcato a Pozzallo a dicembre 2015 insieme alla famiglia e subito arrestato. Dopo 15 mesi di detenzione e un processo, viene rilasciato dal carcere di Sassari a fine febbraio. Ma l’indomani gli tocca dormire in un’altra cella, alla questura della città sarda, per lungaggini burocratiche risolte nel suo trasferimento al Cie di Caltanissetta. Quando arriva a Catania, Morad è stanco. E solo un po’ affamato. «In carcere mangiavo e dormivo, sono ingrassato», scherza. E tra una portata e l’altra racconta di sé e del suo futuro.
La foto sul suo permesso di soggiorno lo ritrae con la barba lunga e i capelli arruffati. «No, no, non guardarla», si schermisce sorridendo, come un qualunque giovane attento alla sua immagine. Da quello scatto alla cena, Morad ha il tempo di radersi ma non di accorciare la zazzera, e quindi non toglie mai il suo capello di lana. Sorride, ringrazia sempre, dà la precedenze alla donne e sposta loro le sedie per sedersi a tavola, ma è stanco. E anche un po’ impaurito. Non sa bene di chi può fidarsi questo ragazzo cresciuto presto nelle carceri italiane. Un’esperienza con un solo lato positivo: ha imparato l’italiano da autodidatta nonostante abbia condiviso le celle sempre con detenuti arabi, per lo più accusati dello stesso reato. E sono stati proprio i compagni che, giorni dopo il suo arresto, gli hanno spiegato le accuse rivolte nei suoi confronti. «A me la polizia non ha spiegato niente – racconta il giovane siriano – Dopo avermi fermato, continuavano a ripetere “Tra due o tre giorni ti lasciamo libero”, ma non è successo». Al Ghazawi non sa leggere la nostra lingua ma riesce a comunicare e, soprattutto, capisce bene quando a parlare sono gli altri.
Dopo la cena e la notte passata in un vero letto e in una stanza dignitosa, alla locanda del Samaritano della Caritas etnea, Morad si scioglie. Lasciato ogni imbarazzo del suo giubbotto sdrucito e del suo italiano, chiacchiera, racconta e chiede. «Sono passati otto mesi da quando ho sentito per l’ultima volta la mia famiglia. Chiedevo spesso di potere parlare con loro ma l’assistente mi diceva che l’ispettore non era presente». Per riuscire a comunicare con i genitori, che si sono stabiliti a Stoccarda, in Germania, l’unica soluzione è stata quella «di fare casino dentro la cella – racconta il ragazzo -, ho buttato tutte cose per aria e soltanto dopo una nota disciplinare ho ottenuto quello che volevo». La lunga detenzione non sembra avere fiaccato l’animo ottimista di Al Ghazawi, che ha però trascorso il suo tempo dietro le sbarre in un vortice di angoscia: «Volevo che finisse tutto prima possibile. Anche una condanna andava bene, purché finisse l’ansia delle udienze».
Ansia condivisa, come detto, soprattutto con altri detenuti arabi. Un dettaglio non secondario se si rimanda alle parole del premier Paolo Gentiloni che a inizio gennaio lanciava l’ennesimo allarme sul rischio radicalizzazione in carcere. «Non ho mai sentito discorsi sulla jihad, si pregava normalmente e si osservava il digiuno nel mese del ramadan – spiega Al Ghazawi -. Poi io guardavo pochissima televisione, uscivo per l’ora d’aria e, quando ci veniva concesso, correvo o facevo palestra». Adesso per lui l’unico sentiero è quello del futuro, in un percorso che certamente non sarà semplice. «Sogno di raggiungere la mia famiglia, studiare e lavorare», racconta in modo semplice. Del suo recente passato sa pochissimo – «In carcere non avevo notizie della situazione in Siria né di cosa si dicesse su di me», spiega – ma in fondo adesso non gli importa. La risposta di Morad Al Ghazawi ai cittadini italiani preoccupati dall’ondata di terrorismo internazionale e ad Angelino Alfano, ministro degli Interni al tempo del suo arresto, è altrettanto semplice: «In carcere ci sono tante persone con la mia storia. Accusate di terrorismo, ma solo a parole».