«La mia presenza ha creato, come dire, un po’ di maretta». Quando don Baldassare Meli torna all’Albergheria, non è mai un ritorno come qualsiasi altro. Troppe le ferite mai rimarginate, troppi i silenzi istituzionali e delle forze dell’ordine e dell’ordine dei salesiani, troppi i dolori che non hanno avuto giustizia. Sono passati 14 anni dal trasferimento del sacerdote, suggerito da tanti e teoricamente scattato per limiti temporali di servizio. Ma le vere ragioni sono le denunce che don Meli, insieme a don Roberto Dominici, fece sugli orchi dell’Albergheria: un giro di pedofilia minorile che sconvolse il quartiere e che fu allo stesso tempo osteggiato. Così, quando all’incontro di martedì alla chiesa san Giovanni Decollato si è voluto tracciare un bilancio e una riflessione sull’antimafia sociale, in occasione del quarantesimo anniversario delle attività del Centro Impastato, la scaletta degli interventi è stata in parte rimaneggiata.
Don Meli opera adesso a Castelvetrano, è tornato in città coi mezzi pubblici, e afferma che da dove viene «il problema non è la persona, vale a dire il latitante Matteo Messina Denaro, ma la mentalità. Per dire, quando è stato arrestato Grigoli (il re dei supermercati Despar accusato di essere vicino al boss di cosa nostra … ndr) sono state licenziate 300 persone. Che messaggio è passato? La mafia dà lavoro e lo Stato no». Ma questa è solo la premessa. Il sacerdote non può non tornare con la mente ai «14 anni di assenza da Palermo», al fatto che si tratta di «tutta una vita fuori», all’allontanamento forzato e all’abbandono nel 2009 (questo, invece, scelto) «dall’ordine dei salesiani». Non può non ricordare i racconti dei primi bambini, a fine anni ’90, che a don Dominici dissero delle violenze subite. «Furono gli stessi pargoli a non coinvolgere le famiglie nelle successive denunce. Poi ci fu l’intervento, criticato da tanti, dei 52 bambini tolti dalla polizia alle famiglie. L’8 maggio del 2000 ci fu il secondo intervento, e poi ci furono i primi arresti ma solo un mese e mezzo dopo. E in quel lasso di tempo i bambini stavano ancora nelle mani degli aguzzini».
Una storia di degrado e di violenza che si rivoltò contro i due preti che avevano sollevato il «verminaio» che accadeva a due passi da loro, in pieno centro storico. «Le famiglie si misero contro di noi – ricorda don Meli – e alcune di loro ci hanno pure querelato, così io e il mio confratello siamo stati indagati. A fatica avevamo convinto dieci famiglie a costituirsi parte civile nel processo che andò formandosi, ma nel corso dell’iter giudiziario si sono ritirare tutte tranne una. Inoltre fummo accusati di volerci sostituire ai carabinieri. Io fui pure accusato di aver rubato i soldi degli immigrati del quartiere: li custodivo, è vero, ma li avevo semplicemente depositati in banca».
Quel che don Meli non dice viene poi raccontato da una donna, una cooperatrice salesiana che ha lavorato con lui per dieci anni. «Abbiamo ricevuto minacce – dice -, il clima era diventato insopportabile per tutti coloro che operavano all’oratorio di Santa Chiara e supportavano l’azione dei due uomini. A me hanno tagliato i copertoni, ho pure subito un’aggressione davanti casa, gli stessi genitori dei bambini mi hanno minacciato coi bastoni intimandomi di andare via dal quartiere. Quel che è peggio – continua la donna – è che stiamo stati lasciati soli: l’ordine dei salesiani non ci ha mai supportato, e il successore di don Meli ci convocò per dirci che non voleva più sentire parlare di pedofilia, che non gli interessava ciò che facevano i bambini al di fuori dell’oratorio. Ma io ho visto le loro ferite, non le dimenticherò mai». Parla pure Veronica, che nel 2003 era una studentessa di medicina e da Ragusa decise di venire a Palermo con l’intento di supportare l’azione di denuncia e contrasto agli abusi all’Albergheria: «Conobbi un bambino che aveva ricevuto le frustrate, e lo capii quando presi una volta una corda per giocare. La sua reazione fu di terrore. Il bambino mi fece nomi e cognomi, io inoltrai tutto alla Procura».
Don Meli ascolta le donne ad occhi chiusi. Ripercorre i processi, l’attenzione mediatica e i primi attestati di solidarietà che durarono poco, per lasciare spazio a una pericolosa solitudine. «Al mercato di Ballarò si vide pure qualche videocassetta con gli abusi in questione, poi subito ritirata – aggiunge. Furono condannate singole persone fino al terzo grado, ma sicuramente ci fu gente che aveva lucrato su queste violenze. Abbiamo chiesto di indagare sui mandanti, ma poi tutto si dissolse. Come mai nessuno si era accorto di nulla?». Le cooperatrici salesiane, ancora una volta, si fanno più esplicite e avanzano sospetti. «So per certo che nel giro della pedofilia – dice Veronica – c’erano medici e professionisti». Fa loro eco anche lo storico attivista Nino Rocca, che nel quartiere operava attraverso il centro sociale San Saverio: «I preti avevano toccato livelli troppo alti, si insabbiò tutto perché si stava arrivando agli organizzatori, quelli che i bambini definivano uomini mascherati».
E in tutto questo dolore, rammarico e senso di sconfitta una domanda aleggia nell’aria. Non la pone nessuno ma è come se tutti implicitamente ne rispondessero. Cosa ne è stato dei bambini di allora? Nessuno lo dice apertamente ma coloro che ora sono adolescenti e giovani adulti vivono ancora all’Albergheria. Hanno altre facce e altre storie, o forse gli stessi visi e le stesse cicatrici. E tutti i protagonisti di questa drammatica storia sono stati costretti ad abbandonare il quartiere. «Non è nato neanche un osservatorio che monitorizzi il fenomeno della pedofilia all’Albergheria – conclude don Meli -. Chi è rimasto a Palermo dovete collaborare. Non si può sempre guardare al passato, è arrivato il momento di rilanciare. Io nel mio piccolo sto provando a portare l’esempio di don Pino Puglisi a Castelvetrano».
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