«Top secret, il giornalismo secondo me»

Più di vent’anni di giornalismo alle spalle, da ottobre alla direzione di Videonews, testata giornalistica di Mediaset, che realizza programmi come Verissimo, Tempi Moderni, Secondo voi e L’antipatico. Claudio Brachino è stato a Catania alcuni giorni fa per ricevere al teatro Metropolitan il premio Top Sprint, organizzato da Sergio Regalbuto, presentato insieme a  Flaminia Belfiore, giunto alla diciottesima edizione. E’ autore e conduttore di Top Secret, il programma inchiesta in onda su Rete 4 che ha trattato diversi casi controversi della storia e della cronaca, cercando di portare alla luce i lati più oscuri delle grandi vicende del nostro tempo.
 
Come si può parlare dell’obiettività nel giornalismo d’inchiesta?
L’obiettività nel giornalismo d’inchiesta esiste. È un programma che si avvicina molto a questo scopo perché io chiedo a me stesso e ai miei autori – la “capa” autrice è Barbara Benedettelli – di raccontare innanzitutto i fatti. Infatti Top secret in fondo è un programma di storia mascherato contaminato di giallo e di cronaca. Ad esempio per l’assassinio di John Kennedy, non tutti  si ricordano cosa è successo. Noi torniamo a quel giorno, torniamo a quel tempo, quindi lo spazio-tempo aristotelico, raccontiamo le versioni ufficiali, cerchiamo di prendere in esame tutto quello che è stato detto su questa materia e poi scegliamo un punto di vista nostro, tagliamo la realtà, facendo lo squarcio della tela, come nell’arte contemporanea. Proprio in quel taglio noi cerchiamo dentro un punto di vista nostro, in quanto abbiamo intuito quale è la zona debole della versione ufficiale, e da lì ricominciamo a tessere la tela secondo il punto di vista di Top secret. Sperando di arrivare non a una nuova verità, non con la V maiuscola, perché sarebbe un po’ presuntuoso, ma a delle piccole verità parziali  che servono a far riaprire i casi. Alla fine l’obiettivo è sempre quello, se non della verità, della giustizia.
 
Come si fa nel caso dell’assassinio di Kennedy, accaduto più di quarant’anni fa, a saper apportare qualcosa di nuovo, dei contributi?
Ho fatto un esempio forte perché è un grande giallo irrisolto, ed è un esempio debole perché è avvenuto lontano dall’Italia, sono passati tanti anni e quindi si fa fatica a investigare sul campo perché non c’è più la scena del crimine. Ma dal punto di vista bibliotecario, troviamo il lavoro fatto dagli altri. Baudelaire nella poesia I fari dei Fiori del male diceva che le persone si passano la conoscenza; questo succede non solo nella letteratura, ma anche negli altri saperi. Nel giornalismo, non si copia, ma si prende quello che hanno fatto gli altri. Nel caso di Kennedy c’è una letteratura sterminata che permette comunque di sopperire alla distanza spazio- tempo. E siccome diceva una verità che è molto semplice, non fu Oswald  da solo ad ammazzare Kennedy, il compito nostro, a cinquant’anni di distanza, è di convincere il mondo che la verità ufficiale è una verità assurda. Noi con Top secret abbiamo dato un buon contributo pur lavorando da Milano. 
 
Quanto costa realizzare una puntata  e quanto tempo ci vuole ?
Costa molto poco, io lo faccio con pochi autori, che fanno un grande lavoro intellettuale prima e si muovono sul campo con la troupe solo dopo aver fatto ricerche, dopo aver cercato testimonianze.  Facciamo un grande lavoro creativo sulla forma. Quindi si tratta di un programma povero, senza grandi budget, ma questa nostra povertà, come il teatro povero di Grotowski aguzza il cervello e ci fa essere a volte più bravi degli altri.
Per il tempo che si impiega dipende: ci sono puntate evergreen, ci sono temi culturali generali che possiamo realizzare molto tempo prima,  poi ci sono puntate che facciamo magari in pochi giorni, dipende molto dal tipo di puntata.
 
Il suo legame con Catania?
A Catania ho realizzato il mio primo servizio esterno, nel 1988. Il mio capo mi inviò ad Acireale per il Carnevale, io non vidi i carri, ma ebbi l’intuizione di fare un giro per il paese con la troupe al seguito, facendo il servizio sulla gente e sullo splendido barocco acese. Ho fatto un servizio sul Carnevale, senza neanche un’immagine dei carri. Quando sono tornato in redazione, a Roma, il mio capo all’inizio rimase sbalordito, ma dopo mi disse che forse avrei fatto altri servizi nella mia vita.
 
Oggi molti riescono a fare un video, una registrazione, facendo aumentare di molto le fonti.
Le fonti sono cambiate nella televisione, e non solo. Non c’è solo il giornalista che va con l’operatore, c’è anche la telecamera nascosta che va usata molto nel telegiornale di Italia 1 e di Lucignolo. Nelle Iene noi l’abbiamo usata per primi. Poi ci sono anche i cosiddetti altri, che anziché essere oggetto del racconto diventano soggetto del racconto, con il telefonino e internet. Oggi la fonte di un fatto è diventata enormemente più vasta e più ricca di 20 anni fa. Con qualche difficoltà di stabilire a volte l’autenticità della fonte stessa.

Melania Mertoli

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