Timpa di Leucatia, ambiente umido a rischio Nonostante i vincoli della Soprintendenza

La mano destra preserva, la sinistra rischia di far sparire. È la situazione in cui si trova la Timpa di Leucatia, giardino segreto sconosciuto alla maggior parte dei catanesi, pulita e valorizzata solo dal lavoro volontario di diverse associazioni etnee. Oggetto di diversi vincoli della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Catania, da anni lo spazio verde nel quartiere Canalicchio è anche al centro di diversi progetti dei due Comuni in cui ricade: Sant’Agata Li Battiati e Catania. Ed è proprio quest’ultimo a impensierire le associazioni che, nonostante le richieste, non sono ancora riuscite a vedere i documenti che potrebbero mettere a rischio l’ambiente umido del giardino, unico nel contesto urbano etneo.

Tutto comincia intorno al 2006, quando il Comune di Catania redige un progetto di messa in sicurezza del costone della Timpa. All’idea di preservare case e palazzi dalla possibile caduta di massi si aggiunge presto il problema dell’allagamento delle cantine dei cittadini a valle, dove spesso si insinua l’acqua che scorre con un ritmo medio di 80 litri al secondo. Non a caso la Timpa ospitava l’acquedotto fatto costruire dai monaci benedettini nel 1600 per portare l’acqua al monastero di San Nicolò l’Arena e di cui oggi resistono poche testimonianze abbandonate. L’intervento, in un primo momento non previsto, viene subito inserito nel progetto, su espressa richiesta di uno dei residenti: un geologo che lavorava proprio al Comune di Catania. Si decide così di porre nella Timpa delle trincee drenanti.

Uno strumento utile, ma il cui posizionamento va monitorato con attenzione. «Se l’acqua si intercetta a monte, non irrigherebbe più l’ambiente umido, che quindi sparirebbe», spiega Giuseppe Sperlinga, biospeleologo e docente dell’università etnea, presidente dell’associazione Stelle e Ambiente che più volte ha accompagnato CTzen nel documentare lo stato della Timpa. Con l’acqua sparirebbero anche il sedano, le lenticchie e la menta d’acqua, insieme ai granchi di fiume e agli uccelli che lì abitano. Così come l’acanto, pianta ben più nota ai cittadini per le sue foglie che secoli fa hanno ispirato gli ornamenti dei capitelli delle colonne greche. «Le trincee drenanti andrebbero invece fatte a valle, a ridosso delle case», continua l’esperto. Subito dopo l’ambiente umido, che continuerebbe ad essere alimentato dall’acqua.

Una soluzione già utilizzata dal Comune di Sant’Agata Li Battiati, proprio su suggerimento dell’università di Catania, e prevista anche nel progetto originario etneo. A cui però, adesso, sono state apportate delle modifiche che nessuno conosce. «Ho chiesto all’assessore all’Ambiente del Comune etneo Rosario D’Agata, ma mi ha detto che la competenza non era sua», continua Sperlinga. A occuparsene è infatti l’ufficio Lavori pubblici. Che non dovrebbe tralasciare nemmeno l’aspetto della messa in sicurezza del costone della Timpa: «Perché mettere la rete significa tagliare gli alberi – spiega il docente – Si dovrebbe quindi intervenire solo in punti precisi, dove c’è davvero un masso che potrebbe crollare». Tutte ipotesi che solo la visione del progetto potrebbe chiarire. Tenendo anche conto dei numerosi vincoli che la Soprintendenza etnea ha imposto sull’area. «Così tanti che si fa prima a contare quelli che non hanno messo», scherza un volontario.


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