Una barriera non solo dannosa, ma anche inutile. È da anni il giudizio degli esperti sull’opera progettata per contrastare la naturale erosione della costa rocciosa nota come Timpa di Acireale e che la giunta acese ha di recente approvato. Dal 2006 a oggi sono almeno tre le relazioni e ancora di più i pareri di docenti dell’università di Catania che sottolineano l’importante biodiversità del tratto di costa catanese e la preziosa presenza di rari basalti colonnari. Senza dimenticare le indicazioni di Pietro Giuliano Cannata, docente universitario di Pianificazione dei Bacini a Siena ed ex segretario generale dellAutorità di Bacino del Sarno, sui limiti del progetto. Il tutto, però, sottolinea Legambiente Catania, ignorato sia nello studio di impatto ambientale che nel parere rilasciato nel 2006 dall’assessorato regionale al Territorio e Ambiente sulla barriera sottomarina adesso approvata al Comune.
Per quanto riguarda la flora del luogo, uno studio è stato condotto proprio nel 2006, anno di inizio del progetto, da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Botanica delluniversità etnea sulle alghe, ma non solo, presenti sul fondale davanti alla Timpa. Da diversi rilievi nella zona, gli studiosi anno rintracciato 269 gruppi di organismi, tra cui quattro specie a rischio o minacciate e tutelate dalla legge, e sei habitat prioritari, cioè riconosciuti dalla Comunità europea come prossimi alla possibile scomparsa. Di questi, la maggior parte si trovano proprio nell’area interessata dai lavori.
Pericolo che esiste anche per quanto riguarda la fauna che popola numerosa la zona. A tre metri di profondità, proprio dove agirebbe la barriera sottomarina, uno studio coordinato da Grazia Cantone, docente di Biologia marina a Unict, ha rintracciato 19 specie diverse. Ma il rischio è che vengano «ricoperti e distrutti tutti i popolamenti algali e animali sui quali verrà riversato il materiale della barriera», scrive la docente. Per di più per un’opera che non avrebbe nessun effetto in caso di mare non calmo e cioè quando l’effetto erosivo dell’acqua è più forte. In quel caso, infatti, «le dimensioni e lenergia delle onde sarebbero tali da superare agevolmente la barriera», spiega in un’altra relazione Pietro Giuliano Cannata, esperto di difesa costiera.
E sull’inutilità dei «lavori di messa in sicurezza di una scogliera a picco sul mare», concorda anche Carmelo Ferlito, geologo e vulcanologo dell’università di Catania. «Sono dei tentativi ingenui di bloccare l’erosione che, comunque, non verrà fermata – spiega – Interventi del genere, oltre ad essere un costo inutile, non producono effetti duraturi e determinano un danno paesaggistico». In un luogo dove il professore ha lavorato agli inizi della sua carriera, «per mettere in sicurezza, come va di moda dire oggi, una parte del costone – racconta – Ma in quel caso sotto c’erano le case e una scuola, non il mare». In questo caso, invece, ad essere in pericolo sono i basalti colonnari della zona di Santa Maria la Scala.
«Il basalto colonnare è una roccia che si forma grazie ai lunghi tempi di raffreddamento – aggiunge il docente – La fratturazione molto lenta produce una geometria sorprendentemente regolare che, in sezione orizzontale, è simile a un mosaico fatto di esagoni, mentre in verticale origina delle colonne prismatiche». Uno spettacolo naturale anche per la «rarità delle condizioni genetiche». «Nel caso dei faraglioni di Acitrezza si tratta di corpi magmatici mai eruttati e raffreddatisi all’interno della crosta terrestre – conclude Ferlito – Mentre i basalti colonnari della Timpa sono associati a colate subaeree che, per gli elevati spessori, hanno comunque sviluppato una fessurazione colonnare».
[Foto di Legambiente Catania]
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