I ragazzi tibetani non ne possono più. Cè un fermento nuovo tra i giovani, che reclamano il rispetto dei diritti umani. Per Giacomella Orofino, presidente del Centro di studi sul buddismo dellUniversità di Napoli LOrientale, sono le nuove generazioni il vero motore degli scontri che hanno insanguinato ieri Lhasa.
Perché sono proprio i giovani a scatenare la protesta?
Lo scontento covava da tempo. Dopo fatti come quelli accaduti di recente in Birmania, i tibetani si sono accorti che lopinione pubblica mondiale è sensibile alle violazioni dei diritti umani. La corrente più giovane della dissidenza, riunita nel Congresso dei giovani tibetani, ha cominciato quindi a pensare di uscire allo scoperto. E così ha fatto organizzando la marcia di protesta partita da Dharamsala, in India, sede del Dalai Lama in esilio. In un certo modo, i giovani tibetani mettono in discussione lo stesso Dalai Lama, che ha sempre predicato la politica della non violenza. Una politica che non ha prodotto risultati concreti per il Tibet.
Qual è la reazione del Dalai Lama di fronte ai nuovi fermenti?
In effetti, nel discorso che ha tenuto lo scorso 10 marzo, il Dalai Lama è stato più duro del solito con la Cina, denunciando la situazione dei diritti umani. Il 10 marzo è una data importante, perché ricorre lanniversario della sua fuga dal Tibet, avvenuta nel 1959, In generale, però, il leader tibetano mantiene una posizione moderata, invitando anche a riconoscere il benessere di cui i tibetani possono godere grazie allo sviluppo cinese. Difficile però provare gratitudine per i cinesi, che discriminano i tibetani sulla loro stessa terra come se fossero un popolo inferiore.
Quanto resta dello spirito religioso buddhista in Tibet?
Prima dellinvasione cinese, i monasteri erano diffusissimi. Dopo gli anni bui della rivoluzione culturale, il Tibet è diventato sempre più laico e i monasteri sono diventati più simili a luoghi per turisti. In Tibet prevale la tradizione Vajrayana, la terza grande corrente del buddismo, che ha in sé anche elementi derivati dalla tradizione yoga, come i mantra. Ma non rifiuta il corpo e lo considera come un mezzo di liberazione.
E riuscita a mettersi a mettersi in contatto con Lhasa?
Sì, ho parlato con alcuni miei studenti. Mi hanno detto che è stato imposto il coprifuoco e che non possono uscire. Internet non funziona e non riescono a capire bene cosa succede intorno a loro. Per questo, sono abbastanza tranquilli. Altre persone impegnate nella cooperazione mi hanno raccontato di aver visto dal tetto delle loro case uno spiegamento di carri armati e forze dellordine senza precedenti. Le forze di sicurezza sparano ad altezza duomo sulla folla. I morti dovrebbero essere molti di più di quelli che crediamo, ma il vero numero – come sempre – non lo sapremo mai.
[Pubblicato sui quotidiani locali del Gruppo Espresso]
da: http://www.lettera22.it/showart.php?id=8693&rubrica=24
Link utili:
Video sul Tibet (da www.dire.it)
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