“Ti sposi?” “No, oggi no”

E poi c’è chi osa dire che la gente non si sposa più. C’è chi osa dire che il matrimonio è una cosa obsoleta, per impenitenti cattolici, sadici ricchi, e sventurati senza cervello. C’è chi osa dire che diventare marito e moglie uccida quella fatale attrazione che lega gli amanti, che li inebria e li rende, diciamo le cose come stanno, un po’ più tonti del solito. C’è chi osa dire queste e molte altre cose, dando fiato alla bocca senza aver visto realmente ciò di cui amabilmente discute, senza aver toccato con mano la candida organza di un abito da sposa, o aver assaggiato confetti al cioccolato bianco e nocciole.

D’altro canto, c’è pure chi sogna una chiesa addobbata a festa, orchidee in ogni dove, tappeti rossi e morbidi da calpestare, auto lucide dalle quali scendere tra gli sguardi invidiosi di centinaia tra amici, parenti, conoscenti, e compagni di classe delle elementari ritrovati su Facebook che, durante una cerimonia, fanno sempre tanto colore.

Per quest’ultima schiera d’anime pie – si fa per dire – non c’è nulla di più affascinante del “Salone del Matrimonio”, la cui quinta edizione, proprio di questi tempi, ha aperto le porte presso il centro fieristico “Le Ciminiere”. Peccato che chi vi scrive faccia parte della schiera d’anime dannate dell’incipit, e abbia trovato infernale attraversare gli stretti corridoi dell’Expò delle romanticherie.

Gli angusti cunicoli tra gli stand erano gironi malefici infestati da diaboliche creature costrette in minigonne e tacchi a spillo, impeccabilmente truccate e pettinate, impettite nelle loro giacche stirate di fresco: le hostess, sirene d’omerica memoria, capaci di rendere appetibile perfino la più infima sala banchetti.

Appostate in mezzo ai corridoi, sorridevano ammiccanti e domandavano, soavi: «Ti sposi?»

La prima volta che s’è sentita porre questa domanda, la redattrice inviata sul fronte è rimasta fortemente turbata. Le gote le si sono imperlate di sudore, le mani hanno cominciato a tremare vistosamente. “Anatema!” – ha pensato con orrore –, «No, oggi no.» –ha risposto con un sorriso falso più di quello di Giuda.

Intanto, un dolce suono di arpa e violino si spandeva per il grande salone. No, nessuno stava per ascendere al cielo, era solo una delle dimostrazioni dei musici che, imbalsamati ed incravattati, cercavano di vendere la loro arte da cerimonia, il loro talento da sposalizio.

Il cliente, l’ignara vittima, non poteva non restare irretito.

Altrove, un coretto di ristoratori degno di Lucifero, intonava un ipnotico salmo: «Per quello che sarà il giorno più bello della loro vita, gli sposini devono sentire di essere al centro dell’attenzione, non devono temere inconvenienti e devono sentirsi coccolati ed accuditi…»

E questo significa che se lei vuole una squadra intera di venti sbandieratori, avrà venti sbandieratori; se lui desidera che la sala banchetto sia rivestita completamente di gigli bianchi (i fiori preferiti da mammà), avrà una sala banchetto che profuma di cimitero, ma piena di gigli bianchi; se loro gradiscono che gli invitati si sentano coinvolti, ingaggeranno degli intrattenitori che, in maniera molto soft, faranno divertire ospiti e parentado, magari impegnando gli uomini nel “gioco della virilità”, che in cosa consiste, però, non me l’hanno spiegato. I trucchi del mestiere non si svelano, si sa.

Leggermente distanti gli uni dagli altri, i menzogneri più celebri, i fotografi, attiravano le genti a forza di album quasi incantati e stampe in bianco e nero: la mancanza di colori rende meno evidenti i difetti, e Photoshop fa il resto, ché qualunque donna, almeno il giorno del suo matrimonio, deve sentire di essere bella quanto Nicole Kidman (quando s’è appena svegliata il mattino di un qualsiasi lunedì).

Per chiudere il panorama, mancano da citare solo i putti infernali, uomini con una cadenza appena appena femminile che, vestiti di nero dalla testa ai piedi, osservano dagli angoli il procedere degli eventi. Costoro, infidi, si tengono addosso un’espressione compiaciuta fissata con la lacca e sono pronti a rimbeccarsi a vicenda, cercando di marcare il territorio. Sono gli stilisti, geniali menti capaci di partorire cose che voi umani non potreste neanche immaginare. Una donna comune non indosserebbe mai un centro-tavola, qualcuno glielo spieghi. Pizzo e merletti, seta ed organza, laccetti, rose, brillantini, metri e metri di strascico rosso. Rosso? Sì, rosso. E rosa antico, e verde mela, e giallo oro, e azzurro mare. No, quello non era azzurro mare, lasciatemelo dire. Quello era color alga-della-playa, the original.

E che dire del corpetto fatto di confetti? All’inizio, non m’era chiaro a cosa potesse servire. Poi ho capito: il corpetto è uno snack da sgranocchiare. I matrimoni sono lunghi e noiosi, la sposa e lo sposo stanno là, davanti al prete, a sentirlo parlare per minuti interminabili, ad orari in cui un certo languorino comincia a farsi sentire. Durante la lettura del vangelo, la sposa stacca un confetto e lo ingurgita. Lo sposo, magari, la imita. E la nonna in prima fila? Pure lei c’avrà fame. La sposa recupera un’altra pralina e la lancia alla sonnecchiante vecchietta. Speriamo che l’anziana donna abbia i riflessi pronti e recuperi al volo il dono della nipote, altrimenti a quella, delusa, potrebbe scappare un gemito di dispiacere, o un “no” sommesso. Lo sentisse il prete, ci sarebbe da ricominciare tutto da capo, con all’altare una sposa già seminuda. I confetti, del resto, sono come le ciliegie: uno tira l’altro.


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