The Good, The Bad & The Queen – S/T (2007, Emi)

TRACKLIST:
1 History Song
2 ’80s Life
3 Northern Whale
4 Kingdom Of Doom
5 Herculean
6 Behind The Sun
7 The Bunting Song
8 Nature Springs
9 A Soldier’s Tale
10 Three Changes
11 Green Fields
12 The Good, The Bad & The Queen

Ok, va bene così. Davvero, può bastare. Non serve proprio altro per dare prova dell’istrionismo e dell’eclettismo artistico di Damon Albarn. Muove i primi passi con i Blur, con i quali cambia faccia al brit-pop traghettandolo verso lidi più “alti”, lanciandosi poi anima e corpo nell’avventura coi Gorillaz, marchiando a fuoco uno degli esperimenti musico-visivi meglio riusciti della storia. E adesso si ripresenta in vesti fresche di sartoria con l’ambizioso progetto The Good, The Bad & The Queen: prende con se Paul Simonon, l’ex basso dei Clash, giusto un pezzo bello grosso di storia; si affianca all’amico di sempre Simon Tong, ex sei corde dei Verve e già collaboratore di lusso di Blur e Gorillaz; ed aggiunge alla line-up un pizzico di world-music convocando il batterista nigeriano Tony Allen, collaboratore storico di Fela Kuti e pioniere dell’afrobeat. Albarn indossa dunque i panni del barman, shakera per bene il tutto, e quello che ne viene fuori è uno dei cocktail musicali candidati di diritto al titolo di miglior album del 2007, nonostante ci si trovi ancora ad inizio anno.

L’album (omonimo… o è forse la band a non avere nome?), ma sarebbe meglio dire l’intero progetto, è un concentrato di british style: innanzitutto il titolo nel quale, “nascosto” sotto mentite spoglie morriconiane, compare il riferimento diretto a Sua Maestà la Regina d’Inghilterra; poi il look dei quattro, elegante e vintage al punto giusto, londinese fino all’osso (ed in questo elemento è chiaro il richiamo ai Clash di Simonon). Ma tutto ciò è solo un ricercato contorno per quello che è, dal punto di vista lirico e musicale, un concept sulla Londra dei nostri giorni. Troviamo così History Song, in cui a farla da padrone è il basso di Simonon, pulsante come ai bei vecchi tempi, e poi Kingdom Of Doom, novella “London Calling” fra riferimenti alle guerre ed altri al disorientamento politico-sociale della società, passando per il primo singolo Herculean e per un piccolo capolavoro come A Soldier’s Tale, brano in cui a fare da mesto filo conduttore è ancora una volta la guerra. Il pop condito di dub di Behind The Sun, le venature etniche di Three Changes, in cui si sente forte l’apporto di Allen, e l’andamento old style di Green Fields, accompagnano fino alla conclusione, affidata alla title-track, unico episodio (non a caso posto in chiusura) in cui i quattro musicisti danno libero sfogo ai propri strumenti dopo i quieti arpeggi dei brani precedenti. I supergruppi, i side-project fondati sull’appariscenza dei nomi più che sulla sostanza, difficilmente colgono nel segno; Damon Albarn e le sue creature fanno eccezione, clamorosamente. Nel frattempo, anche i Blur pare stiano per fare ritorno: allacciate le cinture.

Emanuele Brunetto

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