Fino al 30 giugno in via Maqueda sarà possibile ammirare le opere dell'artista gelese, tra scene quotidiane sul litorale siciliano e la tragicità degli sbarchi di ieri e di oggi. «Dipingere per me significa esprimermi con l'unico linguaggio che mi dà forza»
Terra di mezzo, a Palazzo Sant’Elia i quadri di Giovanni Iudice È il pittore delle migrazioni. «Esporre qui era indispensabile»
È uno dei suoi quadri più famosi, che vede al centro coloro che lui stesso definisce Il Quinto Stato, ovvero i profughi. Su uno sfondo drammaticamente nero pece si staglia una scena, vista mille volte, che vede i cosiddetti nuovi arrivi. Con un iperrealismo così intenso da lasciare stupefatti. A dipingere quest’affresco un precursore del tema delle migrazioni in Sicilia, l’artista gelese Giovanni Iudice. Che esporrà fino al 30 giugno a Palazzo Sant’Elia, in via Maqueda, una trentina di opere – tra disegni e quadri dipinti in un periodo temporale che va dal 2001 al 2012.
«Esporre il mio ciclo sulle migrazioni qui, nella Palermo capitale della cultura, era indispensabile a mio avviso – afferma il pittore -. Perché lo stesso capoluogo regionale è già un laboratorio di convivenza e integrazione tra culture». Iudice arriva in città con la mostra Terra di mezzo, curata da Giuseppe Iannaccone – noto collezionista milanese e scopritore nel 1997 dell’artista – e fortemente voluta dal direttore Antonio Ticali. La mostra, non a caso, ha visto anche l’impegno dello staff del sindaco Leoluca Orlando. A essere apprezzato soprattutto il linguaggio realista e diretto di Giovanni Iudice, che diviene filo conduttore di una monografica volta al racconto, ora spietato ora commosso, dell’esistenza e del suo banale quotidiano interrotto dalla tragicità della storia attuale. Da una parte il mare, la sabbia del deserto delle dune di Gela, i bagnanti che si godono placidamente il litorale siciliano. Dall’altra un’umanità silente, spesso disperata, ritratta senza pietismi e allo stesso tempo senza sconti.
Un pittore sociale, insomma, un pittore politico. Come giudica queste affermazioni sul suo conto lo stesso Iudice? «Dipingere per me significa esprimermi con l’unico linguaggio che mi dà forza di espressione quale la pittura – afferma – sia essa a volte sociale sia a volte anonima. Certamente il mio è un lavoro realista che mira a rappresentare un trasporto sociale, cioè tutto quello che si confronta con la realtà in cui viviamo. Spesso, nelle arti, si fa l’errore di definire realismo l’esatto contrario, cioè ”il visibile reso oggettivamente accademico”. Per me è tutt’altro, il realismo nasce da corde reali e a sfondo sociale in cui i linguaggi hanno radici anche letterarie; se pensiamo che nel verismo di Verga era lo stesso scrittore a fotografare la realtà (Verga tra l’altro è stato pure un fotografo)».
Da appassionato cultore d’arte, Iudice si lancia in altri collegamenti per spiegare la propria arte. «Ciò ha demarcato convincimenti di cifre stilistiche pure nel neorealismo italiano con Rossellini e Pasolini, in parte col primo Fellini – aggiunge l’artista gelese -. Sono questi dei parallelismi per le quali le restituzioni in immagini segnano l’iconoclastia del presente. Ma v’è di più: ad esempio Picasso, quando volle dipingere Guernica, è un Picasso politico che in pittura è un gergo affine al realismo. Però il maestro spagnolo aveva sovvertito le regole della tradizione attraverso il cubismo. Sta di fatto che vi sono artisti del realismo che partecipano alla vita del paese, quindi impegnati».