Tecnis, chiesta la restituzione a Bosco e Costanzo Difesa: «No ingerenze mafia, indagine lo conferma»

I colossi dell’edilizia Tecnis e Cogip potrebbero tornare nelle mani dei loro proprietari, gli imprenditori etnei Francesco Mimmo Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice. La richiesta è stata avanzata direttamente dalla procura di Catania durante l’ultima udienza che si è celebrata davanti ai giudici del tribunale misure di prevenzione. La corte composta da Rosanna Castagnola, Giuseppe Lamantia e Carlo Cannella potrebbe decidere nel giro di poche settimane. L’azienda, che per anni è stata leader del settore costruzioni in Italia, era stata sequestrata a fine febbraio 2016, perché, secondo i pm, «i vertici societari erano asserviti a Cosa nostra mentre sostenevano di combatterla». Una vicenda nata a distanza di quattro mesi dal clamore già suscitato dagli arresti dei due imprenditori nell’ambito dell’inchiesta Dama nera sugli appalti Anas e su un presunto giro di corruzione. 

Il sequestro di Tecnis e Cogip è durato 12 mesi, vista la proroga dopo la scadenza dei primi sei. Un anno sotto il controllo dello Stato e del commissario Saverio Ruperto, ex sottosegretario del governo guidato da Mario Monti. Alla fine di questo periodo, sulla base dell’articolo 34 del codice antimafia, la procura poteva scegliere due strade: quella della richiesta di confisca o quella che porta alla restituzione dei beni. «L’istruttoria compiuta ha sgomberato il capo da ogni ipotesi di contaminazione illecita dell’azienda, escludendo che giammai l’attività economica esercitata abbia assunto connotazioni che abbiano agevolato il fenomeno mafioso». A scriverlo sono, nelle note difensive, gli avvocati Vincenzo Mellia e Giuseppe Lo Faro, difensori di Concetto Bosco Lo Giudice e della moglie Sofia Ponzini. Sull’azienda incombeva anche l’ipotesi di vendita, annunciata dopo il ritiro del piano di ristrutturazione del debito, e poi decaduta dopo diversi incontri al ministero dello Sviluppo economico. «In questo periodo è stato verificato che non ci sono state infiltrazioni da parte di Cosa nostra, c’è un intero faldone del reparto operativo speciale dei carabinieri che conferma il tutto», spiega l’avvocato Carmelo Peluso, difensore di Costanzo.

Eppure, al momento del sequestro, per la Procura sarebbe stata chiara la soggezione delle aziende di Costanzo e Bosco Lo Giudice ai boss di Cosa nostra. Tesi supportata in particolare da alcuni casi, come quello della compravendita di un terreno nei pressi del carcere di Bicocca, per ampliare la struttura penitenziaria. In quell’occasione l’affare venne affidato alla società Gestifond e ad alcuni personaggi vicini all’imprenditore Bosco Lo Giudice, come l’avvocato Mario Arena e il mediatore Alfio Corritore. Proprietario dell’appezzamento, sul quale venne stipulato un diritto di prelazione per la vendita a 15 euro al metro quadrato, era Alfio Aiello, oggi in carcere per mafia e fratello del capo provinciale di Cosa nostra Vincenzo Aiello. Sotto la lente d’ingrandimento della procura pure l’appalto per la realizzazione dell’anello ferroviario di Palermo tra piazza Politeama e Giachery e i lavori eseguiti a Corleone lungo la strada statale 118 Corleonese-Agrigentina. Appalto finito al centro delle dichiarazioni del pentito Gaspare Pulizzi.

L’ex boss aveva parlato di alcuni contatti tra il mandamento di Salvatore e Sandro Lo Piccolo e l’allora reggente della famiglia mafiosa di Catania Angelo Santapaola. L’obiettivo era quello di una messa a posto voluta dal capomafia di Corleone Rosario Lo Bue. Pulizzi riferiva di lavori effettuati in quel territorio da una ditta di Acireale di un certo geometra Bosco. Il professionista in questione sarebbe stato però soltanto un cugino di Concetto Bosco Lo Giudice, poi sentito all’udienza dello scorso 7 dicembre. «La procura ha fatto delle verifiche arrivando a questa decisione», commenta a MeridioNews l’avvocato Attilio Floresta.  


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