Basta andare indietro di alcune decine di anni per trovare il bene archeologico sepolto dalle case popolari. Alcune delle quali restano ancora oggi e incombono sul monumento. Inutili le continue richieste di espropri e demolizioni. Almeno fino a mercoledì, quando sono partiti i lavori per abbattere parte di un palazzo pericolante bombardato nel 1943
Teatro romano, comincia la liberazione Via la facciata che minaccia un ambulacro
Croce e delizia. Più la prima che la seconda. Sono le case e i palazzi che si affacciano sul teatro romano di Catania e che lo caratterizzano come eccezione inserita da sempre in un contesto urbano. Uno di questi immobili, in particolare, si presenta pericolante da tempo e mai abbattuto nonostante le richieste del costituendo Parco archeologico etneo greco-romano. Almeno fino a questi giorni, quando sono partiti i lavori di rimozione della facciata. Mattone per mattone, gli operai saranno all’opera per circa una settimana a spese del privato proprietario. Un intervento che servirà a liberare almeno in parte il terzo ambulacro, uno dei corridoi del monumento.
Basta andare indietro di alcune decine di anni per avere un’immagine di Catania completamente diversa dall’attuale. Case e casupole popolari prendevano il posto del teatro romano oggi visibile e sorgevano proprio sopra il monumento, seguendo in parte la sua forma a mezzaluna. Quasi al centro, anche una piazzetta, più o meno dove adesso spiccano l’orchestra e il suo laghetto. Prima dei lavori di scavo degli anni ’50, al complesso di case si accedeva attraverso l’allora via Grotte, di cui oggi restano una strada monca, che finisce proprio sul teatro, e sotto degli archi.
Lì, sulla sinistra, resta ancora palazzo Fasanaro, un grande condominio con una pregevole facciata su via Vittorio Emanuele e una meno pregevole estensione che chiude il monumento romano. Per decenni si è discusso del suo abbattimento ed è tuttora in corso un procedimento di esproprio da parte della Regione siciliana. Lasciando il palazzo alle sue vicende giudiziarie e proseguendo a percorrere con lo sguardo via Grotte, si incontrano altre casupole. Ma quello che da mercoledì non c’è più sono le tettoie appoggiate su una piccola impalcatura che copre parte della cavea, i gradoni destinati al pubblico. E quello che tra una settimana scomparirà è la facciata dell’ultimo palazzo a destra. O meglio ciò che rimane di una casa popolare che doveva essere a più piani ma di cui ne restano solo due. Bombardata nel 1943 e pericolante da tempo, minacciava di cadere sul terzo ambulacro e sulle teste dei visitatori.
La richiesta di abbattimento era stata uno dei primi atti del costituendo Parco archeologico etneo nell’anno della sua creazione, il 2010. Quando circa un mese fa, dopo quattro anni, gli operai chiamati dal privato proprietario del palazzo si sono presentati negli uffici del Parco, quasi non ci si ricordava più di quella richiesta considerata ormai sepolta. Come il teatro, che invece inizia a riprendersi i suoi spazi.