Non sono niente o, forse, si sono solo convinti di non essere niente. Un niente che manifestano spogliandosi letteralmente di tutto, abiti compresi. Li tolgono uno per uno, capo dopo capo, perdendo forse quel brandello d’identità che vi era attaccato. Li vedi quindi così, poco più di dieci corpi nudi, che si dimenano senza una meta, senza una ragione, sul palco del Teatro Biondo di Palermo. Sono loro che accolgono gli spettatori mentre si accomodano ai propri posti: fanno esercizi di riscaldamento sul palco. Esercizi che sembrano all’inizio quasi improvvisati, spontanei, un po’ come vengono e che poi, scoccate le 21, si fanno chiara coreografia. Le luci restano accese per qualche minuto, e quando si spengono non ci fai caso, sei ormai parte di quello spettacolo. Da quando, non sono forse nemmeno le 21.05, si sono tolti di dosso quei vestiti sudati guardandoti fisso. Assumono uno stadio quasi primitivo, primordiale. A dettare il ritmo dei loro impulsi sono continui input, sollecitazioni vere e proprie messe in scena attraverso degli oggetti che sbucano dalle quinte e fanno letteralmente irruzione sul palco, in mezzo a loro, spaesati.
Un bidone d’acqua attaccato a una catena, fuochi d’artificio, una musica fuori campo, una spada, noccioline, scope, stracci, una bambola. Stimoli, appunto, a essere qualcosa, qualcuno. E loro, rispondendo a quello primordialità della quale sono fatti, non si tirano indietro. Come animali che non sanno resistere, per natura, a una curiosità, a una tentazione, come una falena verso una luce che poi la brucerà. E la risposta arriva, trasformandoli: diventano una bambola a loro volta, spadaccini, una coppia che danza sulle note di una vecchia Only you, due uomini che si azzuffano parlando ognuno il proprio dialetto. Piovono stracci e loro puliscono, parte una musica e si improvvisano ballerini, piovono noccioline e diventano scimmie. Marionette nella mani di un puparo, di un demiurgo più grande di loro. Attori nelle mani del teatro stesso. Fino all’ennesimo, ultimo input. Una pioggia di vestiti, scarpe, reggiseni, mutandine. La guardano arrivare con lo stesso immutato stupore di sempre. Ma qualcosa stavolta è cambiato.
Lo capisci quando si voltano tutti, ormai privi di quel pudore iniziale che istintivamente gli faceva coprire le parti intime in mostra, e ti restituiscono con sicurezza lo sguardo, voltando le spalle a quella pioggia di vestiti che hanno deciso di non raccogliere, di non indossare. La loro prima scelta, in assoluto. La scelta di non raccoglierlo, quell’ultimo suggerimento, di fare da sé, di decidere da soli cosa essere e come esserlo. La scelta di restare nudi, la scelta di essere ciò che sono sempre stati, fin dall’inizio. Prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, insieme a Teatro d’Europa, Atto Unico-Compagnia Sud Costa Occidentale, Festival d’Avignon e Teatro Biondo di Palermo, ne firma la regia Emma Dante. E c’è molto di lei, in questa creazione. C’è quella corporeità su cui, lavoro dopo lavoro, insiste tanto, che pone al centro di tutto, e da cui passa poi tutto. Perché i suoi sono attori che con quei corpi recitano, attraverso cui si snoda ogni storia. Dal teatro di parola al teatro di corpo, per una riflessione sul mestiere in sé, sull’essere attore che, di sicuro, lascia il segno. Lo spettacolo sarà in scena fino al 21 ottobre.
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