Settimi al mondo per produzione scientifica, ma con un governo che non investe. E che alla scienza preferisce le scarpe made in Italy. E' il paradosso italiano illustrato ieri dal fisico del Cnr in uno degli appuntamenti organizzati dal Coordinamento unico d'Ateneo. «Se vogliamo che l'Italia non scenda in serie B, dobbiamo esigere un'università di serie A»
Sylos Labini su università e ricerca «La crisi economica passa da qui»
«Uscire dalla crisi è possibile, ma bisogna ricostruire un sistema totalmente destrutturato. Rifiutare una riforma insensata e assurda come la legge Gelmini è una necessità, ma difendere il sistema attuale è impossibile». È la teoria di Francesco Sylos Labini, ricercatore in fisica al Cnr di Roma, blogger per Il Fatto Quotidiano.it e co-autore, insieme a Stefano Zapperi, del libro I ricercatori non crescono sugli alberi. Ieri pomeriggio, a Catania – nell’ambito dei seminari L’altra faccia della crisi organizzati dal Coordinamento unico d’Ateneo – ha parlato dei mali dell’università italiana e delle loro possibili soluzioni. Per trasformarla da un sistema mal gestito dal governo a una possibile risorsa per il benessere economico e morale del Paese. «Se vogliamo che l’Italia non scenda in serie B o C, dobbiamo esigere un’università di serie A», dice Labini.
Precariato, fuga di cervelli, invecchiamento, disinteresse delle imprese per la ricerca: questi i macigni che pesano sull’università italiana. Malata, secondo il fisico romano, anche di «gerontocrazia, conflitto d’interesse, tutela dei privilegi». Una condizione che è il risultato dell’incapacità di governare da parte di chi sta al potere e di «quella dell’opposizione di studiare modelli alternativi a quello attuale». «Senza contare poi la serie di problemi che affliggono tutto il comparto pubblico», continua il ricercatore. Elementi analizzati dati alla mano, «da buon fisico», e che hanno intrattenuto tanti giovani, curiosi e addetti ai lavori. Ma, problemi a parte, Sylos Labini ha anche una strategia: «Una riforma ragionevole deve partire dall’identificazione di quello che c’è di buono come base da cui ripartire».
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«Non è vero che l’università e la ricerca italiane sono di pessima qualità» lamenta il fisico, illustrando una serie di dati estratti dalle classifiche internazionali, fondate sulle «teorie degli economisti fatte di trucchi, bugie e disinformazione», spiega. «Chi si occupa di economia non dovrebbe parlare di università – continua – Se scorporiamo le classifiche in singoli elementi, possiamo constatare che l’Italia gode di un buon livello medio e di una buona reputazione scientifica. Se siamo settimi al mondo per produzione scientifica ci sarà un perché». Un paradosso tutto italiano: un Paese che investe pochissimo ma che riesce a competere in qualità a livelli mondiali.
E sono proprio i finanziamenti uno dei maggiori problemi di oggi. «Il governo deve risparmiare per ridurre debito pubblico – ricorda il ricercatore del Cnr – e quindi sposta il costo dell’università interamente sulle famiglie». Continuando ad aumentare le tasse universitarie, In Inghilterra come in Italia. «Dovrebbero essere tutti contenti e non lo sono», sottolinea Sylos Labini mentre mostra le immagini delle proteste inglesi dei mesi scorsi. Aumentare gli investimenti è quindi il primo passo per risolvere l’emergenza. Purché venga fatto con metodo. «Finanziare ricerca di qualità e stabilire un buon livello qualitativo diffuso sul territorio – spiega il relatore dell’incontro – L’eccellenza non si stabilisce a tavolino».
Ma non tutti sono d’accordo. «Perché dovremmo pagare uno scienziato quando facciamo le scarpe più belle del mondo?» dichiarava lo scorso anno il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Perché – risponde Sylos Labini – la scienza e la ricerca possono aiutare il Paese ad uscire dalla crisi. A patto che siano trasformate e gestite da un governo più lungimirante, che non pensi solo al «profitto, tutto e subito» e che garantisca «più formazione per tutti come leva del progresso materiale e morale del Paese». Valorizzare il capitale scientifico e aiutare le imprese ad innovare: questa la ricetta. Altro che suole e plantari.
[Foto di Machine Project]