Sulla pelle dei consumatori

Domanda: la Guardia di Finanza controlla i supermercati e, in generale, i punti vendita della grande distribuzione organizzata? La domanda non è oziosa e, anzi, è più che mai attuale in tempo di liberalizzazioni che – come cerca di spiegarci, senza convincerci, il governo delle ‘banche’ del professore Mario Monti e dei suoi amici banchieri – vuole questo provvedimento per “aiutare i consumatori”.
In sintesi, raccontiamo quello che abbiamo provato sulla nostra pelle. Per ben due volte. Mattina, qualche giorno prima di Natale. Spesa in un supermercato di Palermo. Non ha importanza indicare quale. Dopo aver preso i vari prodotti, fila alla cassa.
Al momento del conto, una strana sensazione: quella di stare pagando più del dovuto. Dalla cassa sono passati più di quaranta prodotti. Se abbiamo dei dubbi, giunti a casa non ci resta che controllare i prodotti uno per uno. Ed è quello che facciamo. Per scoprire che i nostri dubbi erano riposti bene: sul nostro conto, riportato nello scontrino, ci hanno rifilato circa 5 euro in più.
Torniamo al supermercato con lo scontrino. Ci spiegano che la differenza è dovuta al fatto che i prezzi riportati sugli scaffali (per esempio, per frutta e verdura) o sui prodotti non sono aggiornati rispetto a quelli riportati dai computer di cassa. Ovviamente, i prezzi giusti – così ci spiegano – sono quelli dei computer di cassa. Tornare a casa e annotare, uno per uno i prezzi dei prodotti, per verificare se le cose stanno effettivamente così? Non ce la sentiamo. Precisiamo soltanto che questa differenza tra prezzi al banco o sul prodotto e prezzi alla cassa non tutela i consumatori.
Sette giorni dopo torniamo al supermercato. In carrello mettiamo una ventina di prodotti. Notiamo la solita differenza tra prezzo allo scaffale e prezzo alla cassa. Questa volta siamo entrati con carta e penna. Abbiamo annotato il prezzo di ogni prodotto. Ci sono, è vero, prodotti con un prezzo al banco e con un altro prezzo – maggiorato – alla cassa. In alcuni casi, tale differenza è dovuta a un mancato ‘aggiornamento’ che comunque -lo ribadiamo – non dà alcuna certezza al consumatore. In altri casi, però, il prezzo risulta maggiorato e basta. E precisamente: tre confezioni di uova (sei uova per ogni confezione) ci sono state conteggiate 1,59 euro a confezione quando il prezzo era segnato 1,54 euro. Le ‘gocce’ di cioccolato le abbiamo pagate 2,49 euro, quando invece erano segnate 2,35 euro. Morale: alla cassa ci restituiscono 35 centesimi.
Ci chiediamo: quanti consumatori, in questi giorni di Natale, carichi di spesa, hanno dedicato al conteggio dei prodotti che hanno acquistato il tempo che abbiamo dedicato noi? Quanti di loro, senza saperlo, avranno pagato più del dovuto?
Qui il problema non è essere a favore o contro la grande distribuzione organizzata (anche se un eccesso di distribuzione organizzata mette in crisi, o addirittura fa chiudere, le piccole botteghe di prodotti alimentari artigianali: che è, poi, quello che sta avvenendo in Sicilia con il consenso, a nostro avviso non certo disinteressato, della politica).
Il rischio motivato, in questo caso, è il venire meno del rapporto fiduciario tra consumatore e grande distribuzione organizzata. Noi non vogliamo affermare che in tutti i punti vendita della grande distribuzione organizzata si verificano i fatti che abbiamo provato sulla nostra pelle. Ma siamo convinti che, anche per la grande distribuzione organizzata, si applica la legge di legge di Gresham: “La moneta cattiva scaccia quella buona”. Ovvero, la cattiva distribuzione organizzata soppianta quella buona.
E’ per questo che sarebbe più che mai opportuno avviare i controlli nei supermercati. Dove un consumatore non può controllare, ogni volta, uno per uno, i prodotti che ha acquistato per farsi eventualmente rimborsare i soldi in più che ha sborsato. E dove non dovrebbe esistere nemmeno la differenza tra prezzo al banco e prezzo alla cassa per mancato aggiornamento…

 


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