La procura di Catania ha chiesto la condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione per Emilio Coveri, il presidente dell’associazione Exit-Italia imputato nel processo d’Appello per istigazione al suicidio di Alessandra Giordano. La 47enne di Paternò, insegnante di scuola primaria in un istituto di Misterbianco, morta il 27 marzo del 2019 a Forch, un paesino svizzero nel cantone di Zurigo, nella struttura Dignitas. A presentare l’esposto da cui è partita l’inchiesta erano stati i familiari della donna – i due fratelli, la sorella e la madre – che si sono costituiti parte civile nel procedimento. Contro la sentenza di assoluzione in primo grado, con la formula «perché il fatto non sussiste», emessa il 10 novembre del 2021 dalla giudice per l’udienza preliminare Marina Rizzo a conclusione del processo celebrato con il rito abbreviato, sono stati il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e il sostituto Andrea Brugaletta a presentare ricorso.
Per l’accusa, il presidente di Exit non avrebbe fornito nessun aiuto materiale alla donna ma avrebbe «rafforzato il proposito di suicidio […]. Intratteneva con la Giordano plurimi rapporti e conversazioni telefoniche, via sms e posta elettronica dal 2017 al 2019; induceva la Giordano, sofferente per forme depressive e sindrome di Eagle (una nevralgia facciale atipica, ndr), a iscriversi alla associazione Exit; condotte accompagnate da sollecitazioni e argomentazioni in ordine alla legittimità, anche etica, della scelta suicidiaria». Durante l’interrogatorio, Coveri si era difeso negando l’istigazione e le sollecitazioni. «Alessandra non la sentivo più dall’agosto del 2018», aveva detto Coveri in una intervista rilasciata a MeridioNews in cui aveva anche precisato che i toni delle loro conversazioni e dei loro messaggi sarebbero stati neutri: «Non era un rapporto speciale». Le mail a cui si fa riferimento, invece, «sono quelle con i bollettini informativi che inviamo a tutti i soci». Una newsletter con le attività dell’associazione, le storie delle persone, le novità normative. I legali che assistono Coveri, Arianna Corcelli e Roberto Mordà – che avevano anche chiesto di spostare il processo a Torino per incompetenza territoriale – restano convinti della sua innocenza. «È la prima volta – avevano dichiarato al nostro giornale i difensori – che il presidente di una associazione finisce imputato solo per avere dato a un socio delle semplici informazioni che sono reperibili da chiunque anche su internet». Secondo la procura, invece, Coveri avrebbe «fornito un contributo causale idoneo a rafforzare un proposito suicidario prima incerto e titubante su una persona affetta da patologie non irreversibili benché dolorose, anche perché non ben curate, sfruttando l’influenzabilità della donna per inculcare le sue discutibili idee di suicidio assistito come soluzione alle sofferenze fisiche e morali della vita».
Prima di arrivare in Svizzera, Giordano aveva già inviato molte mail per chiedere informazioni e inviare documenti alla Dignitas. Il giorno della partenza sono i familiari a fare ai carabinieri una segnalazione di allontanamento volontario. Qualche giorno dopo, arriverà l’integrazione di querela per istigazione al suicidio. La sorella Barbara e il fratello Massimiliano, nel frattempo, vanno in Svizzera. Prima di partire, lui invia una mail alla struttura con una diffida a portare a termine il suicidio assistito della sorella. Per tre giorni la donna non risponde mai né alle chiamate né ai messaggi in cui i familiari le chiedono di tornare indietro e le domandano se abbia già fatto «le visite». Tre ore prima di morire, Giordano parla con il fratello Massimiliano e «lo rassicura che era una sua libera scelta e gli chiede di accettarla». A mezzogiorno, manda un messaggio al fratello Francesco: «Vi prego di rispettare la mia decisione, comprendo il vostro stato d’animo e mi dispiace ma non sono in condizione di sopportare ancora dolori e sofferenze». Per l’accusa «la scelta individuale, assunta in piena autonomia deve essere rispettata», ma bisogna valutare se «noi riteniamo che sia lecito proporre alle persone che non versano in condizioni di patologia irreversibile, magari soltanto depresse, il suicidio come unico rimedio ai propri mali». Per Coveri, però, si è sempre trattato di fornire a Giordano, su sua richiesta, come a ogni altro socio dell’associazione Exit «le informazioni che le servivano per prendere una decisione. Una procedura normale». Il processo è stato aggiornato a mercoledì 28 giugno.
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