Alessandra Giordano, 47enne di Paternò, è morta nella struttura di Forch alla ribalta in Italia dopo il caso di Dj Fabo. La procura aveva anche chiesto il sequestro cautelare di un conto corrente e un immobile della defunta. «Vogliamo la verità», dicono i legali
Suicidio assistito in Svizzera, procura apre inchiesta Famiglia presenta esposto: «La donna era depressa»
Istigazione al suicidio è il reato su cui sta lavorando la procura di Catania, procedimento al momento aperto contro ignoti e che prende le mosse dal caso del suicidio assistito in Svizzera di Alessandra Giordano, una donna di Paternò. La 47enne, insegnante di scuola primaria in un istituto scolastico di Misterbianco, è avvenuta il 27 marzo scorso a Forch, paesino svizzero nel cantone di Zurigo, dove si trova la clinica Dignitas. L’istituto, alla ribalta dopo la morte di Dj Fabo, è autorizzato dalle autorità locali a praticare il suicidio assistito.
La notizia era stata portata alla luce dal quotidiano La Sicilia. Le indagini sono partite nel momento in cui i familiari della donna, i quali non erano a conoscenza dei propositi della congiunta, si sono presentate dai carabinieri di Paterno per denunciare l’accaduto. Dopo l’esposto i familiari erano anche volati in Svizzera nel tentativo di fermare il suicidio della donna, ma inutilmente. La 47enne, secondo quanto sostenuto dai familiari, non soffriva di una malattia «così feroce» da costringerla all’irreversibile scelta.
«La signora soffriva di una forte depressione e di una malattia chiamata sindrome di Eagle – ha spiegato a MeridioNews l’avvocato Giuseppe Camonita, che assieme ai colleghi Marco Tringali, Anna Maria Parisi e Francesco Pantaleo del foro di Bari sta seguendo l’inchiesta, su incarico dei familiari della donna – e nonostante la signora si fosse sottoposta a intervento chirurgico la situazione non sarebbe migliorata, anzi il dolore sarebbe stato persistente». La malattia produce una calcificazione ossea mandibolare. I familiari temono che Alessandra Giordano sia stata assecondata nella sua scelta dai responsabili della clinica e che forse abbia fatto un testamento a favore dell’associazione. «Non sappiamo se la clinica abbia agito in modo superficiale, non spetta a noi dirlo – ha specificato l’avvocato Camonita – e c’è una inchiesta in corso. Vogliamo solo chiarezza sui fatti, la verità».
La procura etnea aveva disposto, a scopo cautelativo, il sequestro di un conto corrente e di un immobile della donna, ma il provvedimento è stato rigettato dal giudice per le indagini preliminari. Il magistrato ha sottolineato come la donna abbia seguito regolarmente l’iter per la preparazione per la morte assistita ottenendo la cosiddetta luce verde. «Della richiesta di sequestro non eravamo a conoscenza – ha proseguito il legale – lo abbiamo appreso dalla stampa». Il gip ha rigettato inoltre la richiesta perché la 47enne, quando si è rivolta all’estero, non sarebbe stata in uno stato di infermità o deficienza fisica tale da aver compiuto la scelta senza la necessaria consapevolezza.
L’ultimo a vedere la donna viva, all’aeroporto di Catania, era stato un amico che, ignaro di tutto, aveva contattato la sorella dell’insegnante per dirle quanto fosse felice di aver visto la donna in partenza. A quel punto sono scattate le ricerche, e i fratelli della donna hanno tentato di farla desistere dal proprio intento. Su indicazione della Farnesina, la famiglia ha contattato la polizia cantonale prendendo informazioni sulla destinazione della donna. Dalla clinica, però, non sarebbe arrivata nessuna conferma. Poi, poco prima della fine, Alessandra Giordano ha chiamato la sorella per informarla della sua decisione. «Non sappiamo ancora se il corpo è stato cremato, aspettiamo», ha concluso l’avvocato Camonita.