Per i pubblici ministeri, il presidente dell'associazione Exit-Italia è colpevole. Per questo chiedono che venga condannato a tre anni e quattro mesi di carcere. Lui si è sempre difeso negando ogni tipo di sollecitazione. A settembre, la parola passa alla difesa
Suicidio assistito, chiesta la condanna per Emilio Coveri «Ha rafforzato il proposito» dell’insegnante di Paternò
La procura ha chiesto la condanna per Emilio Coveri, il presidente dell’associazione Exit-Italia che nel processo con rito abbreviato è imputato per l’istigazione al suicidio di Alessandra Giordano. La 47enne di Paternò, insegnante di scuola primaria in un istituto di Misterbianco, morta lo scorso 27 marzo a Forch, un paesino svizzero nel cantone di Zurigo, nella struttura Dignitas. A presentare l’esposto da cui è partita l’inchiesta erano stati i familiari della donna – i due fratelli, la sorella e la madre – che si sono costituiti parte civile nel procedimento.
Durante l’udienza di oggi a discutere sono stati i legali che rappresentano le parti civili e i pubblici ministeri che hanno chiesto di condannare Coveri a tre anni e quattro mesi di carcere. Per l’accusa, il presidente di Exit non avrebbe fornito nessun aiuto materiale alla donna ma avrebbe «rafforzato il proposito di suicidio […]. Intratteneva con la Giordano plurimi rapporti e conversazioni telefoniche, via sms e posta elettronica dal 2017 al 2019; induceva la Giordano, sofferente per forme depressive e sindrome di Eagle (una nevralgia facciale atipica, ndr), a iscriversi alla associazione Exit; condotte accompagnate da sollecitazioni e argomentazioni in ordine alla legittimità, anche etica, della scelta suicidiaria». Durante l’interrogatorio, Coveri si era difeso negando l’istigazione e le sollecitazioni.
«Alessandra non la sentivo più dall’agosto del 2018», aveva detto Coveri in una intervista rilasciata a MeridioNews in cui aveva anche precisato che i toni delle loro conversazioni e dei loro messaggi sarebbero stati neutri: «Non era un rapporto speciale». Le mail a cui si fa riferimento, invece, «sono quelle con i bollettini informativi che inviamo a tutti i soci». Una newsletter con le attività dell’associazione, le storie delle persone, le novità normative. Durante la prossima udienza, che è stata fissata per il 16 settembre, toccherà alla difesa discutere. I legali Arianna Corcelli e Roberto Mordà, che avevano anche chiesto di spostare il processo a Torino per incompetenza territoriale, restano convinti della sua innocenza. «È la prima volta – sottolineano i difensori – che il presidente di una associazione finisce imputato solo per avere dato a un socio delle semplici informazioni che sono reperibili da chiunque anche su internet».
Prima di arrivare in Svizzera il 25 marzo, Giordano ha già avuto un corposo scambio di mail per chiedere informazioni e inviare documenti alla Dignitas. Il giorno della partenza sono i familiari a fare ai carabinieri una segnalazione di allontanamento volontario. Qualche giorno dopo, arriverà l’integrazione di querela per istigazione al suicidio. La sorella Barbara e il fratello Massimiliano, nel frattempo, sono stati in Svizzera. Prima di partire, lui invia una mail alla struttura con una diffida a portare a termine il suicidio assistito. Per tre giorni la donna non risponde mai né alle chiamate né ai messaggi in cui i familiari le chiedono di tornare indietro e se ha già fatto «le visite». Tre ore prima di morire, la donna parla con il fratello Massimiliano e «lo rassicura che era una sua libera scelta e gli chiede di accettarla». A mezzogiorno, manda un messaggio al fratello Francesco: «Vi prego di rispettare la mia decisione, comprendo il vostro stato d’animo e mi dispiace ma non sono in condizione di sopportare ancora dolori e sofferenze».