Il rapporto svimez presentato oggi conferma che le politiche nazionali stanno uccidendo il mezzogiorno
Sud a rischio desertificazione, cresce solo il Nord. A chi giova l’Italia Unita?
IL RAPPORTO SVIMEZ PRESENTATO OGGI CONFERMA CHE LE POLITICHE NAZIONALI STANNO UCCIDENDO IL MEZZOGIORNO
Ogni anno è peggio di quello precedente. Ogni anno, in occasione della presentazione del rapporto sull’economia meridionale della Svimez, l’Associazione per lo Sviluppo industriale del Mezzogiorno fondata da Pasquale Saraceno, si lancia l’allarme: il Sud rischia la desertificazione umana, oltre che industriale, mentre il divario con il Nord cresce, così come la povertà e la disoccupazione, a causa di politiche nazionali che stanno uccidendo le regioni meridionali.
Concetti, suffragati da precise analisi economiche, espressi anche nel report di quest’anno presentato oggi a Roma. Ne stanno dando notizia tutte le agenzie di stampa e le televisioni. Domani l’argomento sarà archiviato. I Governi di Roma continueranno ad infischiarsene. Complice anche una pubblicistica intrisa di pregiudizi che diffonde informazioni scorrette sul Sud Italia.
La Svimez ha già dimostrato che lo Stato ha smesso da tempo di investire al Sud , che i meridionali pagano più tasse, che la spesa straordinaria ha finito col sostituire quella ordinaria, che le manovre economiche pesano come un macigno. (Potete leggere l’analisi in questo articolo: TUTTE LE BUGIE SUL SUD ITALIA e negli articoli sullo stesso tema in allegato).
Eppure la stampa di mezzo mondo, inclusa quella italiana, nel lavoro quotidiano, continua a falsificare la realtà. Dando man forte a quella pessima classe politica che ha condannato i meridionali alla povertà. Cui prodest?
Ci permettiamo di sollevare un interrogativo: non sarebbe più logico dividere le sorti del Sud Italia da quelle del Nord? L’Italia deve restare unita per ammazzare definitivamente il Mezzogiorno?
Come detto, anche i numeri di quest’anno sembrano confermare questa ipotesi. Vediamo le cifre del disatro appena snocciolate dalla Svimez:
PIL E MEZZOGIORNO
In base a valutazioni Svimez nel 2013 il Pil e’ crollato nel Mezzogiorno del 3,5%, approfondendo la flessione dell’anno precedente (-3,2%), con un calo superiore di quasi due percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4%). Da rilevare che per il sesto anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno registra segno negativo, a testimonianza della criticita’ dell’area. Il peggior andamento del Pil meridionale nel 2013 e’ dovuto soprattutto a una piu’ sfavorevole dinamica della domanda interna, sia per i consumi che per gli investimenti. Anche gli andamenti di lungo periodo confermano un Paese spaccato e diseguale: negli anni di crisi 2008-2013 il Sud ha perso -13,3% contro il 7% del Centro-Nord. Il divario di Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2013 e’ sceso al 56,6%, tornando ai livelli di dieci anni fa.
L’EMIGRAZIONE
“Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente.
In dieci anni, dal 2001 al 2011 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milione e mezzo di persone, di cui 188 mila laureati”.
LA POLITICA ECONOMICA
“Le manovre pesano di piu’ al Sud”, rileva lo Svimez: con un impatto (considerando le manovre effettuate dal 2010 ad oggi dai vari governi, per 109 miliardi) pari nel 2015 al 9,5% del Pil al Sud contro il 6% del Centro-Nord. Cosi’, rileva lo Svimez, “la politica economica appare contribuire alla crescente divaricazione” tra Meridione e Settentrione, anche per i tagli alla spesa che “concorrono a penalizzare in maniera significativa l’economia” del Mezzogiorno “gia’ strutturalmente meno capace di agganciare la ripresa”.
“Gran parte” del diverso impatto “e’ dovuta ai tagli alle spese operati dai Governi, il cui peso ha inciso molto piu’ al Sud che al Centro-Nord. Nel 2015, ad esempio, al Sud il valore cumulato della spesa pubblica sara’ tagliato il doppio rispetto al Centro-Nord, cioe’ del 6,2% contro il 2,9% dell’altra ripartizione”, e “si tratta di spese particolarmente dolorose. In valori assoluti “su un totale di oltre 109 miliardi di euro a livello nazionale, le manovre di finanza pubblica peseranno complessivamente nel 2015 in Lombardia per oltre 21 miliardi, nel Lazio per 13 miliardi, in Sicilia per 8,8, in Campania per 8,5, in Emilia Romagna per 7,7, in Veneto per 7,5, in Piemonte per 7,3, in Toscana per 6,2 e in Puglia per 5,9”.
Le manovre “considerate nei loro effetti diretti e indiretti tolgono nel 2014 lo 0,65% del Pil al Sud e lo 0,21% al Centro-Nord”. Quanto ai fondi per la coesione, “se per ipotesi si riuscissero a spendere tutte le risorse tecnicamente disponibili l’impatto potenziale sul Pil nell’area sarebbe nel 2014 dell’1,3%, invertendo cosi’ la tendenza da negativa a positiva”; e questo comporterebbe anche “34.400 posti di lavoro in piu’ al Sud nel 2014 e 82.400 nel 2015”.
L’INDUSTRIA
Dal 2008 al 2013 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27% del proprio prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-53%). La crisi non è stata altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione di prodotto e occupazione è stata di circa 16 punti inferiore, quella degli investimenti di oltre il 24%. Nel 2013 la quota del valore aggiunto manifatturiero sul Pil è stata pari al Sud al 9,3%, un dato ben lontano dal 18,6% del Centro – Nord .
Gli addetti nell’industria in senso stretto al Sud nel 2013 sono scesi dai 43,6 per mille abitanti del 2008 ai 37,4 del 2013. Il valore aggiunto dell’industria in senso stretto nel 2013 è stato pari al 20,7% del prodotto complessivo dell’economia nel Centro-Nord e all’11,8% al Sud. A livello regionale, l’Abruzzo si conferma in linea e anzi superiore al centro-Nord, con un valore del 21,8%, seguito dal Molise con il 17% e dalla Basilicata (14,5%). In coda la Sicilia (8,2%) e la Calabria (7,6%), tutte comunque in calo rispetto ai valori già bassi registrati nel 2007. Le imprese meridionali continuano a essere di piccole dimensioni: in dieci anni, dal 2001 al 2011, il peso delle micro imprese under 9 addetti è passato dal 33,9% al 37,6%. Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente.
I CONSUMI
Un andamento divergente che si palesa anche analizzando altri indicatori. A cominciare da quello relativo ai consumi: se il dato delle famiglie del Centronord cresce nel 2014 dello 0,3% e nel 2015 dello 0,7%, al Sud, rispettivamente, si registra una diminuzione dello 0,5% e dello 0,1%. Giù, sempre secondo Svimez, anche gli investimenti: nel 2014 il Mezzogiorno segna -1,1% contro -0,4% del Centro-Nord. «Se questo dato venisse confermato, nel 2014 la caduta degli investimenti al Sud rispetto al periodo pre-crisi arriverebbe al 35%».
IL LAVORO
Il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2013 registra una caduta dell’occupazione del 9%, a fronte del -2,4% del Centro-Nord. Delle 985mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi. Nel 2013 sono andati persi 478mila posti di lavoro in Italia, di cui 282mila al Sud. Posti di lavoro persi soprattutto tra i lavoratori giovani under 34 e al Sud (-12% contro il -6,9% del Centro-Nord). La nuova flessione riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni: il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche basi di dati. Tornare indietro ai livelli di quasi quarant’anni fa testimonia, da un lato, il processo di crescita mai decollato, e, dall’altro, il livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale e la modifica della geografia del lavoro. Non va meglio nell’ultimo periodo: tra il primo trimestre del 2013 e quello del 2014 gli occupati scendono di 170mila unità nel Sud e di 41mila al Centro-Nord. In altri termini, le tendenze più recenti segnalano che al Sud si concentra oltre l’80% delle perdite dei posti di lavoro italiani. Da segnalare inoltre nel 2013 l’aumento del tasso di disoccupazione. Quello “ufficiale” nel 2013 è stato del 19,7% al Sud e del 9,1% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro.
LE DONNE
Le donne continuano a lavorare poco: nel 2013 a fronte di un tasso di attività femminile medio del 66% in Europa a 28, che arriva all’83% in Finlandia, se l’Emilia Romagna è perfettamente allineata con la media europea, le regioni del Mezzogiorno vanno peggio di Malta e della Romania (che registrano tassi di attività femminile rispettivamente del 50% e del 48,4%), scendendo fino al 38% in Puglia, il 37% in Calabria e Campania, il 35% in Sicilia. Piove inoltre sempre sul bagnato: nel 2013 chi non ha un lavoro stabile rischia di più di perderlo: il 16,4% dei lavoratori che nel primo trimestre 2012 avevano un contratto di lavoro atipico, un anno dopo, nel 2013, erano diventati disoccupati (di cui il 12,8% al Centro-Nord e il doppio al Sud, 25,3%).
LA POVERTA’
Il Sud e’ poi “sempre piu’ povero. In Italia oltre due milioni di famiglie si trovavano nel 2013 al di sotto della soglia di poverta’ assoluta, equamente divise tra Centro-Nord e Sud (1 milione e 14mila famiglie per ripartizione), con un aumento di 1 milione 150mila famiglie rispetto al 2007”. La poverta’ assoluta, indica ancora il rapporto Svimez, “e’ aumentata al Sud rispetto all’anno scorso del 2,8% contro lo 0,5% del Centro-Nord. Nel periodo 2007-2013 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione 14mila, il 40% in piu’ solo nell’ultimo anno.
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