Processo stragi 1992, l’avvocata ha chiesto l’assoluzione di Matteo Messina Denaro

«Chiedo l’assoluzione dell’imputato per non avere commesso i fatti». È questa la richiesta avanzata dall’avvocata Adriana Vella che nel processo per le stragi del 1992 difende Matteo Messina Denaro. «Sulla scorta delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché delle sentenze irrevocabili acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, emerge l’assoluta incertezza dell’effettivo ruolo che rivestiva all’interno della compagnia mafiosa trapanese». Così ha detto la legale nominata d’ufficio – dopo la rinuncia di Calogero Montante e anche della nipote Lorenza Guttadauro (che è la figlia di Rosetta Messina Denaro, la sorella del boss) nel corso della sua arringa difensiva nell’udienza di oggi del processo che si sta celebrando in corte d’Assise d’Appello a Caltanissetta. Il boss – che anche oggi ha scelto di non prendere parte al processo – è accusato di essere il mandante delle stragi del ’92. La legale ha sottolineato «la mancanza anche solo di elementi indiziari gravi precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni in cui fu deliberato il piano stragista». L’avvocata ha poi aggiunto anche che «dalle motivazioni assunte in primo grado non è dato sapere nemmeno in cosa sarebbe consistito il concorso morale di Matteo Messina Denaro negli attentati di Capaci e via D’Amelio».

Stando alla ricostruzione fatta dall’avvocata Vella, «non vi è prova che l’imputato abbia fornito uomini per il compimento delle due stragi, né l’esplosivo, né supporto logistico. È di tutta evidenza che, nella sentenza impugnata – ha concluso la legale chiedendo l’assoluzione – non solo non si è fornita prova diretta del consenso, anche tacito, dell’imputato alle decisioni delittuose stragiste, ma non vi è certezza nemmeno del momento in cui l’imputato abbia acquisito consapevolezza che i delitti rientranti in questo piano sarebbero stati rilevati da feroce violenza». Per la legale, «era Mariano Agate il reggente di Cosa nostra del Trapanese e non Messina Denaro. Lo hanno riferito diversi collaboratori di giustizia. Messina Denaro in tutte le riunioni che si svolsero in cui venne deciso il piano stragista non era presente. Non diede il suo assenso alla stagione stragista. Nella cosiddetta missione romana – ha aggiunto l’avvocata – ordinata da Totò Riina per personaggi di rilievo, quali Giovanni Falcone, il ministro Claudio Martelli, Maurizio Costanzo e Andrea Barbato, Matteo Messina Denaro recepì l’ordine impartito da Riina come un mero soldato. I soggetti convocati da Riina, come emerge dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, si limitarono a recepire l’ordine impartito dal capo di Cosa Nostra, ossia quello di attuare propositi criminosi mai realizzati».

 L’udienza è stata rinviata per le eventuali repliche e la sentenza alle 9.30 del 19 luglio, il giorno del 31esimo anniversario della strage di via D’Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. In primo grado Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo. La conferma di questa condanna è stata chiesta, a conclusione della sua requisitoria, dal procuratore generale Antonino Patti. «Se devo essere sincera – ha commentato poi l’avvocata Vella durante una pausa dell’udienza del processo – se oggi Matteo Messina Denaro fosse stato presente lo avrei apprezzato. Chi meglio di lui avrebbe potuto darmi ulteriori spunti di discussione e suggerimenti in ordine alla mia? Questo è indubbio. Ha rinunciato, è una sua scelta e la rispetto comunque». L’ex primula rossa di Cosa nostra, arrestato il 16 gennaio nella clinica privata La Maddalena di Palermo, si trova detenuto in regime di 41bis nel carcere de L’Aquila. «È stato molto difficile preparare la difesa – ha concluso la legale – perché ho dovuto studiare la sentenza, molti atti processuali e mi sono dovuta confrontare anche con sentenze precedenti che sono state acquisite su fatti in cui altri giudici si sono già pronunciati


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