Strage di Parigi, l’analisi dell’imam di Catania «Musulmani tra le vittime, l’Isis non è l’Islam»

«La nostra prima reazione è stata di ferma condanna di questo crimine. Un fatto che non riguarda solo la Francia, ma tutta l’umanità». Così Keith Abdelhafid, imam della moschea della Misericordia di Catania – la più grande del Sud Italia – commenta a MeridioNews gli attentati avvenuti a Parigi nella serata di venerdì e successivamente rivendicati dall’Isis. «Quanto è avvenuto non si basa su elementi religiosi – sottolinea – Alcune vittime sono musulmane, quelli che hanno sparato non hanno chiesto a nessuno se fossero o meno della nostra fede prima di uccidere». 

Abdelhafid, componente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia, è stato intervistato ieri dal quotidiano Il tempo. Un passaggio delle sue dichiarazioni ha suscitato non poche polemiche. L’imam ha definito i terroristi «vittime delle politiche sociali e delle democrazie». Una risposta interpretata come una giustificazione. «È stato un errore di comprensione – spiega l’imam – Non si tratta assolutamente di una scusante per quanto accaduto». E chiarisce: «Intendevo che quanto è successo è anche colpa del fallimento delle politiche sociali – dice – Perché se giovani che ormai sono di terza o perfino quarta generazione non si sentono integrati, si sentono respinti da politiche di odio razziale e religioso, la colpa è anche di certe dichiarazioni che non fanno altro che fomentare divisioni». 

Il riferimento è alle esternazioni – in Italia come oltralpe – provenienti da partiti di destra come la Lega nord di Matteo Salvini e il Front national di Marine Le Pen. Però ad aver fallito, prosegue, «sono anche le famiglie di questi ragazzi», dice. Ma se i processi integrativi fossero stati portati a termine con successo – sostiene la guida spirituale – idee come quelle sostenute dallo Stato islamico non avrebbero così tanta presa: «Questo non ha nulla a che vedere con l’Islam». 

«Il male, la morte, non sono mai giustificabili». Ma quello che l’imam di Catania invita a fare è andare oltre la condanna delle stragi. «Bisogna guardare le cose da un altro punto di vista. Dobbiamo osservare quanto sta accadendo nella sua complessità, sempre senza giustificare azioni di questo tipo. Condannare l’atto – continua – ma vedere anche l’uomo che lo ha commesso». 

Agire sulle cause, dunque, attraverso un impegno costante. Come quello profuso dall’Unione delle comunità islamiche nel processo di integrazione dei migranti che sbarcano quotidianamente sulle coste siciliane. «È un modello che costruiamo ormai da anni – racconta Keith Abdelhafid – Un processo di costruzione di comunità civili e pacifiche educando i fedeli all’amore di Dio, alla pace, all’aiuto degli altri». E precisa: «Questo percorso aiuta a evitare che si innestino i processi che hanno portato agli ultimi attacchi terroristici». 


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