Catanese, collaboratrice per diversi giornali etnei, giurista, esperta in Risorse umane. Adesso anche autrice di un romanzo edito da Watson edizioni. Crisi - personali e lavorative - e voglia di raggiungere la felicità: sono questi i temi affrontati. La scrittrice: «Non so dove mi porterà la scrittura, ma so che è un grande amore»
Strade inquiete, l’esordio di Alessandra Litrico «Perché ciascuno può essere quel che vuole»
Cinque personaggi alle prese con le quotidiane infelicità della vita si incontrano alla presentazione di un farmaco dalle particolari proprietà chiamato la pillola della felicità. Diego, Luca, Livia,Carla e Matteo assumeranno la medicina che cancella dalla memoria i brutti ricordi e le loro vite prenderanno pieghe inaspettate. È questa la trama del romanzo d’esordio della catanese Alessandra Litrico dal titolo Strade inquiete. L’autrice – già collaboratrice per le testate giornalistiche etnee CTzen e SudPress, giurista e addetta risorse umane per un’azienda – inizierà la promozione del romanzo edito da Watson edizioni dalla città di Catania. La prima tappa è fissata per sabato 18 luglio alle ore 18 presso la libreria Mondadori di piazza Roma. Un momento importante per Litrico perché «il ruolo dell’autore non finisce nel momento della pubblicazione, tant’è che io mi sento protagonista anche ora, in piena fase di promozione», afferma Litrico.
Una laurea in Giurisprudenza alla quale è seguito un periodo di pratica forense presso uno studio legale e un master di primo livello in Risorse umane. Ma ancora, le collaborazioni giornalistiche e la pubblicazione di un romanzo. Si ritiene più giurista, giornalista o scrittrice?
«Credo di contenere moltitudini che chiedono di uscire fuori, in un modo o nell’altro. Mi piace pensare che ciascuno possa essere davvero quel che vuole e non quello che le circostanze o le condizioni esterne impongono. Mi sento viva, mettiamola cosi».
Si parla tanto di crisi dell’editoria e di pubblicazioni a pagamento, specie per gli scrittori emergenti, eppure la Watson edizioni ha creduto subito nella sua opera d’esordio. Quale percorso ha seguito per la pubblicazione del romanzo? E, adesso, cosa si aspetta da questa esperienza?
«La crisi dell’editoria è un dato innegabile, anche perché i grandi editori seguono solo logiche rivolte per lo più a promuovere lavori di volti già noti o opere di facile guadagno. Prima di firmare il contratto con Watson edizioni ho inviato il manoscritto a diverse case editrici e ho atteso le loro risposte per tempi lunghissimi, certa che non avrei mai accettato proposte con pagamento a carico mio. A fronte dell’interesse mostrato da altre aziende, la casa editrice che ho scelto mi ha convinta grazie all’intraprendenza del suo staff, alla trasparenza contrattuale e al fatto che non mi ha chiesto alcun contributo economico».
Come è nata l’idea di scrivere un romanzo e di ambientarlo nella città di Milano?
«Milano è un teatro che mi ha ispirato sotto ogni profilo e Strade inquiete è nato proprio quando mi trovavo lì. Ricordo che ero in corso Buenos Aires e dovevo sostenere dei colloqui di lavoro, e invece ho trovato l’ispirazione per il libro».
«Bisogna, dunque, cercare di ottenere tutto ciò che procura la felicità», si legge nell’introduzione alla sinossi di Strade inquiete. Quanto l’ha influenzata questa frase, citazione del filosofo greco Epicuro? E quanto l’aforisma si collega alle vicende di Diego, Luca, Livia, Carla e Matteo?
«Molto. Nel romanzo affronto temi contemporanei. Parlo di crisi interiori, esistenziali, sentimentali e lavorative. Racconto, inoltre, la voglia di farcela a ogni costo e di riuscire a ottenere la felicità. Credo di avere lasciato una mia forte impronta all’interno di Strade inquiete, dai flussi di coscienza dei personaggi ai pensieri, dai timori alle idee e dalle parole alle scelte. Adesso che ci siamo mischiati è difficile capire chi sia l’autore e chi il personaggio».
A proposito di ispirazione. Nella copertina del suo romanzo campeggia una rivisitazione del dipinto di Edward Hopper intitolato I nottambuli. Come spiega questa scelta?
«Hopper dipinge l’assenza, la solitudine, l’incomunicabilità, l’inquietudine. Sono tematiche cardine del mio romanzo. Amo molto l’arte di Hopper e la capacità che ha il pittore di descrivere tutte queste cose attraverso una sola immagine. Faccio cenno a lui anche nel corso della narrazione, così io e il mio editore Ivan Alemanno abbiamo pensato che fosse azzeccata l’idea della copertina ispirata a lui, all’artista del silenzio».
La trama del suo romanzo ricorda quella del film americano – vincitore del premio Oscar per la sceneggiatura nel 2004 – dal titolo Eternal sunshine of the spotless mind. Nella pellicola cinematografica la protagonista, infelice per la fine di una storia d’amore, si rivolge a una clinica specializzata nella cancellazione dei ricordi negativi. Il film è stato per lei fonte di ispirazione?
«Apprezzo molto quel film che mi ha emozionata fino all’inverosimile. È un concentrato di meraviglia e mi ha ispirata insieme ad altri lavori, letture e avvenimenti. Secondo me funziona così per tutto: quello che siamo è il frutto di una costruzione lenta e paziente, la cui concretizzazione è influenzata dal prossimo e dai suoi gesti. Anche se lo neghiamo o se non vogliamo».
Quali sono i suoi progetti futuri in qualità di scrittrice?
«Non so dove mi porterà la scrittura ma so che per me è un grande amore. E i grandi amori travolgono».