A rischio 120 lavoratori dell’ex azienda dell’imprenditore bagherese condannato per associazione mafiosa e ora ai domiciliari. Secondo il sindacalista della Fillea Cgil, Francesco Piastra, la gestione sarebbe insufficiente. «Bisogna pensare al rilancio coniugando legalità e sviluppo»
Spettro licenziamenti in impresa confiscata ad Aiello «Lo Stato deve amministrare, non curare il fallimento»
Siamo a Bagheria e quello che un tempo era l’impero di Michele Aiello, ex imprenditore del settore edile e sanitario condannato a 15 anni e sei mesi per associazione mafiosa e ora agli arresti domiciliari per motivi di salute, è stato sequestrato nel 2013 in seguito al suo arresto. Il valore complessivo dei beni sequestrati ammonta a circa 800mila euro. Fra questi, anche l’impresa del ramo edile, gestita da Ati Group, Edilmar e Italtecna. Nel maggio scorso era scattata la mobilità per i 120 lavoratori dell’azienda: partiva così la procedura di 75 giorni per avviare a tutti gli effetti i licenziamenti. Spettro che oggi appare sempre più reale e vicino. «Ormai la procedura è quasi giunta alla conclusione e il 17 agosto ci sarà un ulteriore incontro all’Ufficio Provinciale del Lavoro» spiega Francesco Piastra della Fillea Cgil Palermo. Durante l’ultimo confronto, la dirigente Francesca Garoffolo aveva chiesto che la vertenza venisse spostata alla Prefettura. «C’è un ruolo che l’Agenzia dei beni confiscati deve assumere ed esplicare – torna a dire Piastra – Deve prendere delle decisioni che ad ora non ha ancora preso e quindi la Prefettura può divenire il soggetto ideale per fungere da mediatore».
«L’Agenzia per i beni confiscati aveva detto ai lavoratori di creare la cooperativa, così come previsto per legge dal codice antimafia all’art. 48, a titolo non oneroso cediamo i beni e anche le commesse residue» dice Piastra, che aggiunge: «Era stato detto anche di aiutare in qualche modo la start-up e poi invece a giugno di quest’anno c’è stata una marcia indietro da parte dell’Agenzia, che adesso vuole scaricare sui lavoratori tutto il peso del fallimento della gestione precedente di queste aziende». Secondo il sindacalista, più che la vicenda della giudice Silvana Saguto – a cui la storia dell’impresa in parte si intreccia – è stato il sistema in generale a infliggere il colpo di grazia. «C’è stata un’amministrazione giudiziaria pessima. Quasi tutte le aziende poste sotto sequestro, non solo a Palermo ma in tutta Italia, arrivano alla confisca in uno stato di decozione – dice, riferendosi alle gravi situazioni di dissesto – Perché gli amministratori giudiziari si comportano più come dei curatori fallimentari e non ne rilanciano le sorti».
Piastra tira in ballo anche la politica, che secondo lui non può continuare a far finta di niente. «Se a Bagheria l’ennesima azienda sequestrata e poi confiscata chiude, mettiamo un’altra croce, muore un’attività e aumentano ancora i disoccupati, quindi la legalità viene vissuta male dal territorio» continua il rappresentante dei lavoratori, per il quale la battaglia di cui si fa uno dei maggiori portavoce ha un valore politico forte. «Noi vogliamo dire che legalità e sviluppo si possono coniugare e che quindi è possibile dare un esempio, un messaggio positivo al territorio. Ma lo deve volere in primis lo Stato, solo così può continuare un’attività». L’incontro del 17 servirà, quindi, per discutere delle commesse residue e del progetto di cooperativa messa in atto dai dipendenti, oltre al ruolo che vorrà ricoprire il Ministero degli Interni in questa vicenda. «Non si può dire che la legge non si può applicare, come ci siamo sentiti dire nel precedente incontro proprio da un funzionario dello Stato a proposito del codice antimafia sulla destinazione dei beni aziendali a titolo non oneroso ai lavoratori. Una cosa veramente paradossale» conclude Piastra, che si augura che il tavolo prefettizio avvenga senza intoppi e che ci siano le condizioni per trovare anche delle soluzioni alternative ai licenziamenti.