Continua l'inchiesta di Step1 su musica e web. Oggi pubblichiamo l'intervista a Andrea Sbaragli di "A Buzz Supreme", società milanese di produzione, management ed edizioni musicali. Un consiglio alle band? "Rimanere proprietari dei master"
SOS musica? «La salvezza sta nellautoproduzione»
A Buzz Supreme è la società di promozione, management ed edizioni musicali fondata a Milano da Andrea Sbaragli e Fabio Vergani. Due che si occupano di musica da molti anni e che, con l’arrivo del Web, hanno condensato le loro diverse attività in un unico soggetto. Per l’inchiesta di Step1 sul rapporto tra mondo musicale e web, abbiamo chiacchierato con Andrea Sbaragli su come l’arrivo del digitale abbia modificato il lavoro di management e le sorti della produzione musicale.
“A Buzz Supreme”, qual è la vostra sfida?
A Buzz Supreme è una giovane società che si occupa di promozione, management ed edizioni musicali. La società è giovane, noi – purtroppo – un po’ meno visto che sia io che Fabio Vergani abbiamo un’esperienza più che ventennale nel mondo della musica. Dall’esperienza derivante dalle nostre precedenti attività e dalla nostra vecchia amicizia, è nata l’idea di questa sfida… una società che si occupa di diversi settori musicali, che vuole mettere la propria esperienza e professionalità al servizio dei musicisti, in questo difficile momento di trasformazione dell’industria discografica. Un momento di così profonda trasformazione del mondo musicale non c’è mai stato e noi crediamo che ciò possa essere anche molto creativo.
Questa trasformazione in che modo ha rivoluzionato il modo di fare il vostro lavoro?
Ogni volta che ci sono nuovi strumenti è bene sfruttarli per migliorare il proprio lavoro. Quando io ho cominciato c’era il fax ed il telefono. Le e-mail e la loro gestione mi sembrava fossero una perdita di tempo. Ricordo che si mandavano le foto vere ai giornali. Adesso è molto più comodo, economico ed immediato, per certi versi, diffondere la propria musica. D’altra parte è difficile potere ascoltare tutta la musica che quotidianamente ti viene proposta. Per quello che riguarda la promozione e lo sviluppo delle edizioni, internet e la trasmissione dei file sia in streaming che in download, sarà sempre più importante. Per altre cose invece tutto rimane legato alla tua professionalità, alla tua chiarezza e alla serietà nei contatti sia con i media che con gli artisti e con i vari partner.
Avete un rapporto più “fianco a fianco” con i media rispetto a prima?
Non direi che questo sia cambiato rispetto a prima per lo sviluppo tecnologico. Sai occupandoci di musica indipendente, spesso molto di nicchia, tendiamo a dover lottare contro l’inerzia e la mancanza di apertura e di interesse verso prodotti meno immediati di altri. Oggi la competizione nella proposta di musica verso i media è enorme. La qualità va ricercata con cura, in primis da chi propone nuova musica mettendo in gioco la propria credibilità. Dall’altra parte i media devono riuscire a selezionare le cose davvero più interessanti. Qualcuno ce la fa, qualcun altro guarda quello che fanno gli altri e si adegua.
In tutto questo non si vendono più dischi. Tutta colpa del downloading?
Il downloading ha dato la mazzata finale, ma non è tutta colpa sua. Se i dischi fossero costati meno, le cose credo che sarebbero state un po’ diverse, come in altri paesi, ma in generale il free downloading ha cambiato la percezione di come fruire la musica. Penso ai ragazzini che non hanno mai comprato un disco e che guardano con stupore il “looser” che spende soldi per comprare qualcosa che si può trovare gratuitamente. Il problema è che tutti possono scaricare molta più musica di quella che possono ascoltare. Si riempiono i lettori mp3 di musica e si ascoltano solo le poche canzoni che già si conoscono. Da una parte è splendido avere a disposizione lo scibile musicale, dall’altra parte si è però perso il rispetto verso chi la musica la fa, per chi deve ogni giorno fare grandi sacrifici per essere un musicista e vivere del proprio mestiere. Non parlo dei grandi musicisti affermati, ma dei tanti piccoli gruppi/artisti validissimi che oggi vendono pochissimo rispetto a quello che avrebbero potuto fare anni fa. E spesso i soli concerti non sono sufficienti per riuscire a far quadrare i conti, all’inizio della carriera. La selezione degli artisti spesso viene in base a chi si può permettere di suonare senza percepire il giusto compenso per quello che fa. Ma questo non riguarda solo il download, ma anche l’attività live.
C’è una soluzione?
Quasi due anni fa ero in Brasile per delle conferenze e mi spiegarono che di lì a poco in Francia ci sarebbe stato il download gratuito più o meno generale, pagato dai gestori telefonici, con il costo degli abbonamenti. Al momento mi sembra che siamo lontani da accordi condivisi. Le misure repressive credo che non servano a risolvere il problema. E come al solito chi ci perde di più sono i giovani artisti che devono incominciare a vivere della loro attività. Direi che di base è una cosa possibile, ma al momento si fa diventare una cosa impossibile per cercare di salvaguardare altri privilegi. Se ancora oggi non è possibile far avere il diritto d’autore dei passaggi radio, della maggior parte delle radio, agli artisti che effettivamente sono stati suonati, ma si deve continuare a spartire il diritto d’autore spettante tra gli artisti che hanno venduto di più… beh credo che sia una questione di difesa di certi privilegi da parte dei più potenti.
In un tuo recente intervento su “XL” di Repubblica parli di un ritorno all’autoproduzione completa. Pensi potrà favorire anche la sperimentazione e un maggiore coraggio nelle scelte musicali delle band?
Mah forse, ma non credo che sarà l’effetto più macroscopico. Oggi il ritorno alla autoproduzione è dovuto principalmente ad un problema economico più che artistico. Nella maggior parte dei casi le etichette non possono fare quello che una volta facevano per i propri artisti. Con il crollo delle vendite dei dischi, il margine di guadagno delle etichette è così esiguo che, per gli artisti emergenti, le normali spese di promozione sono insostenibili e quindi vengono meno le garanzie per cui un artista, che ha già prodotto un master a proprie spese, possa cedere la propria opera ad una etichetta. In molti casi poi le label sono anche piene e il fatto che abbiano un artista che ha avuto successo, può non essere un vantaggio per le seconde linee. L’appoggio ai gruppi con il nostro “Consorzio Utopia” è quello di dar loro un supporto promozionale adeguato, dandogli tutte le informazioni ed i consigli per stampare il disco in proprio e poi per cercare di trovare dei canali per la vendita dei dischi e per trovare una agenzia per i concerti. Un’azione di aiuto esterno. Il consiglio che in questi casi diamo è spesso quello di rimanere proprietari assoluti del master che hanno prodotto. Per sua natura l’autoproduzione tende alla libertà artistica di espressione. Che però non sempre è totalmente positiva.
Ma insomma moriranno o no le case discografiche old style? E se sì, chi ne sentirà la mancanza?
Sentiremo la mancanza di tutti quei discografici che amavano il loro lavoro e lo facevano con passione. Ma non credo che chiuderanno, credo che si trasformeranno sempre più nel cercare di affiancare l’artista nello sviluppo della propria carriera artistica. Io credo che possano farcela a proporre la propria professionalità chiedendo diritti in cambio. Il problema è quando oggi in certi casi si chiedono diritti senza dare niente di concreto in cambio.
Credi che la “defisicizzazione” della musica sia ormai senza ritorno? Magari un giorno nei negozi venderanno direttamente le chiavette usb da ascoltare sul pc…
Io da cultore dell’oggetto quale sono, mi auguro (e credo) che il valore del supporto fisico, nel caso del vinile, rimarrà. Ma credo che il punto non sia tanto la discussione sul tipo di supporto che ci sarà, fisico o non fisico, ma piuttosto credo che ci dovremo chiedere se la defisicizzazione non sia accompagnata anche da una perdita di importanza e di rispetto per l’opera d’arte o di puro intrattenimento che è la musica. Io non sono contrario che la musica possa essere percepita anche in assenza di supporto. Ma il rispetto e la considerazione che puoi provare di fronte alla discografia fisica dei King Crimson, non credo che sia la stessa di fronte ad una chiavina (beh, in questo caso chiavona) usb con lo stesso contenuto musicale. Nel primo caso, sai che ci vorranno diverse settimane per digerire il malloppo… Nel secondo caso, te la scarichi in poche ore, ma sarebbe consigliato l’aiuto di uno “sciamano” che ti guidi all’ascolto…!
Molti vedono l’avvento del web, del formato mp3, della fine della musica come oggetto un grande terremoto culturale prima che industriale. Quali pensi saranno le scosse di assestamento? Mettiti alla sfera di cristallo…
Se al centro del terremoto culturale ci sarà il rispetto per la musica e per chi la fa, credo che potranno esserci ottimi sviluppi per chi produce musica. La potenzialità è enorme. Oltre ad essere una speranza è quello che ci proponiamo con A Buzz Supreme. Credo che una parte sempre più importante dovrà essere la dimensione live dell’artista. Mi auguro anche che la qualità audio della musica torni ad essere centrale: non in quanto arido sviluppo tecnologico oltre le potenzialità delle nostre capacità uditive, ma come rispetto verso chi in studio di registrazione vuole ottenere determinati risultati artistici ma che poi deve scontrarsi con la realtà dei fatti, ovvero che la sua musica viene ascoltata tramite un cellulare o i monitor dei computer. Io credo che dopo un periodo di forte cambiamento dell’industria discografica, così come oggi la conosciamo, il ruolo della produzione musicale si riconsoliderà, spero con regole più democratiche e di merito del passato…chissà…??!