Soccorso… pronto?

Si parla tanto di cattiva organizzazione dell’ambito sanitario in Sicilia. Ma sono le solite chiacchiere disilluse di chi assiste all’assenza di cambiamenti positivi nella nostra città, o c’è effettivamente l’esigenza di lamentarsi e chiedere di più ai servizi che lo Stato dovrebbe offrirci?

 

Giorno qualunque. Sono le 3 del pomeriggio.

Una brutta caduta dal motorino mi costringe ad andare al Pronto Soccorso. Mi dirigo quindi verso il Cannizzaro, imboccando proprio l’entrata riservata al Pronto Soccorso e imbattendomi nel “cerbero” che vi fa da guardiano: per poter accedere bisogna far prelevare il proprio numero di targa onde evitare che si sfrutti questa entrata ‘secondaria’ per raggiungere più facilmente anche altri reparti. Fin qui tutto regolare.
I problemi però, iniziano subito dopo. Sebbene infatti lo spazio riservato alla struttura ospedaliera sia notevolmente ampio, i posti-auto adibiti a parcheggio sono indubbiamente inferiori a quelli che occorrerebbero considerando la grande affluenza a questa sezione dell’ospedale.

 

Trascorrono quindi circa 10 minuti prima di trovare parcheggio. Ma questo non è che il principio. Entrando nel Pronto Soccorso mi vengono richiesti i dati personali e, nel frattempo mi faccio subito un’idea dalla situazione: diversi pazienti in condizioni gravi si trovano a sostare nei corridoi, assistiti da qualche parente a fianco della barella, in attesa di essere prelevati e portati dai medici. Una signora anziana con un femore rotto ed una donna con una ferita sanguinante che si intravede tra i capelli attendono pazientemente che gli infermieri li assistano. Tutto questo accade praticamente in una sala d’attesa piccolissima in cui sono stipate almeno venti persone, di cui alcune sedute, altre in pedi perché senza posto. La stanzetta non è neanche provvista di finestre. L’aria e irrespirabile. Mi vengono in mente due parole: igiene e sterilità, ma osservo in silenzio senza fare commenti.

Considerata l’atmosfera troppo pesante mi viene indicata una seconda sala, dove poter trascorrere le numerose ore che precederanno l’effettiva visita. Almeno questa è più ampia e vi sono una televisione e tre macchinette di merendine e bevande che, inutile dirlo, sono il polo d’attrazione principale per tutti i pazienti presenti. Tuttavia, i posti a sedere di cui dispone sono appena la metà rispetto alle persone che lì si ritrovano in media ogni giorno.

 

Dopo un’ora e mezza di attesa, il dolore inizia a farsi sentire e mi informo con un’infermiera scoprendo che il Pronto Soccorso è per ben due reparti: medicina e chirurgia, eppure la lista è unica. Lo smistamento avverrà automaticamente solo al momento della chiamata che tutti attendono con ansia. Eppure esiste un regolamento previsto dall’ordinamento ospedaliero. Un poster esposto a una parete illustra la situazione. I casi dei singoli pazienti vengono classificati in base alla loro gravità, ed a seconda dello stato in cui ci si trova bisogna rassegnarsi a tempi d’attesa più o meno lunghi. La media per chi non presenta complicazioni gravi va dalle due alle cinque ore. Penso: “Cinque ore? E la tempestività degli interventi? L’assistenza immediata?”. Per di più c’è da considerare che i casi d’emergenza, quelli palesemente più urgenti, hanno la precedenza e scavalcano automaticamente gli altri. Proprio per questo la situazione degenera.

Sono le 6 del pomeriggio.

L’attesa è stata estenuante. Le lamentele di chi è nelle mie stesse condizioni si susseguono, i bambini piangono infastiditi, gli anziani respirano affannosamente, i giovani sbuffano annoiati. La curiosità mi spinge ad ascoltare una discussione altrui, i miei sospetti sono confermati. La frase, per certi versi rassicurante, per altri illusoria, “mancano solo sei persone prima del proprio turno”, viene raccontata a tutti. Bene! Rivolgendo uno sguardo interrogativo all’infermiera che si occupa di accogliere i pazienti all’entrata, mi viene detto “Che ci vuoi fare? Questa è la prassi. Qui il tempo non esiste. Ho visto persone arrivare alle 10:00 di stamattina, sono state visitate solo dopo le 14:00”. Promettente no? Sembra quasi di iniziare a scontare gli anni del Purgatorio tra le spoglie mura della sala d’aspetto in attesa di sentir pronunciare il proprio nome.

Ore 19:00. Finalmente mi chiamano. La mia visita non dura più di cinque minuti.

 

Se questi sono i tempi del Pronto Soccorso…

Valentina L'Episcopo

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