Slava’s Snowshow, i clown fanno i miracoli al Biondo Tutto esaurito e i bambini che giocano felici in galleria

Il tutto esaurito ormai è una prassi. Sono poche le costanti del teatro Biondo in questi anni – e da mesi l’incertezza regna sovrana, specie per l’assenza di un direttore artistico dopo l’allontanamento forzato di Roberto Alajmo – ma tra queste ce n’è certamente una lieta: Slava’s Snowshow fa il pienone ogni anno. Lo spettacolo ideato dal mimo russo Slava Polunin, che ne cura la regia insieme a Viktor Kramer, mischia la comicità dei film muti con la pantomima di Marcel Marceau e invenzioni visive poetiche e strabordanti. Il risultato è una festa per gli occhi e per il cuore, un misto di meraviglia e gioco che diverte davvero grandi e piccini.

Dal 21 al 31 marzo è stato difficile trovare posti disponibili per Slava’s Snowshow. La gente si è accalcata come raramente succede in quella che pur sempre è stata la capitale italiana della cultura. E di ciò bisogna ringraziare la poetica da clown che ha inondato la platea e le gallerie del Biondo ogni giorno. Soprattutto di bambini e bambine: è stato bello vederli protagonisti ansiosi ad ogni messa in scena, coi genitori più accorti che non hanno anticipato loro nulla per non rovinare la sorpresa. Ma quel senso fanciullesco di stupore (per chi è stato capace di mettere in atto la sospensione dell’incredulità) ha contagiato anche i giovani e gli adulti. 

Lo stesso Slava definisce il suo show «un teatro rituale magico e festoso costruito sulla base delle immagini e dei movimenti, sui giochi e sulle fantasie, che sono le creazioni comuni al pubblico e alla gente di teatro; un teatro che nasce dai sogni e dalle fiabe, che crea un’unione epica e intimistica tra tragedia e commedia, assurdità e spontaneità, crudeltà e tenerezza; un teatro che sfugge a qualsiasi definizione, all’interpretazione univoca delle sue azioni e da qualsiasi tentativo di limitazione della sua libertà». E i punti forti dello show si sono rinnovati ogni sera: la poesia di certi momenti evocativi (come quello col palloncino che ricordava la celebre scena di Charlie Chaplin ne Il grande dittatore che immaginava il sosia di Adolf Hitler intento a giocare con il mappamondo, e dunque per allegoria con il mondo intero), le musiche fatte ora di piccoli tocchi di pianoforte ora di citazioni (Momenti di gloria o il maestoso finale di Carmina Burana), e soprattutto le interazioni col pubblico

Nessuno in galleria è stato esente dalle invadenze dei clown, sempre pronti ad abbattere la quarta parete per giocare con il pubblico: i tanti coriandoli sparsi dall’alto, l’enorme telo che si è dipanato dal palco fino all’ultima fila, le scarpe tolte ad alcuni divertiti spettatori (ad una donna persino la borsa!), l’acqua gettata sulle prime file con quel fare un po’ monello tipico dei bambini. E soprattutto la festa finale, a conclusione dello spettacolo, che ha visto inondato il Biondo di palloncini di ogni ordine di grandezza, a svolazzare e rimbalzare da una parte all’altra tra sorrisi e bambini presi in braccio dai genitori. In un teatro che troppe volte si è preso sul serio e che, in vista dell’arrivo di un nuovo direttore artistico figlio di un mero accordo politico tra Comune e Regione, aveva proprio bisogno di un po’ di allegria.

Andrea Turco

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