Sistema Tecnis, com’è stato svuotato il colosso degli appalti Costanzo e Bosco «erano disinvolti nel commettere reati»

Anni di bilanci e movimenti di denaro scandagliati. Il colosso delle costruzioni e le società consortili nate con lo scopo di vincere appalti e completare lavori in anticipo. Una rete che valeva milioni di euro. Simboli di uno schema che per lungo tempo sembrava sfiorare la perfezione. A un certo punto però, complici le inchieste e i sequestri, le fondamenta di Tecnis hanno ceduto. I muscoli del gigante con sede a Tremestieri Etneo, nel lussuoso quartiere Tivoli, si sono sgonfiati e la fortezza si è rivelata un castello di carta dal quale portare via tutto. Uno svuotamento progressivo, lo hanno definito i magistrati della procura di Catania, sconfinato nella bancarotta fraudolenta

L’accusa da ieri pende sulla testa di Concetto Bosco Lo Giudice e Mimmo Costanzo. Padroni del settore costruzioni, esponenti della finta svolta legalitaria degli industriali siciliani, già imputati a Roma per la tangenti negli appalti Anas, e adesso bollati come «imprenditori senza scrupoli». I due sono finiti ai domiciliari insieme ad altre due persone, Orazio Bosco Lo Giudice e Gaspare Di Paola, in un’inchiesta con sette indagati: tra loro Riccardo Acernese, Gaetano Buda e Danilo La Piana. Per la procura sarebbero gli interpreti di un sistema che avrebbe portato alla distrazione di cento milioni di euro. Lo spartiacque di questa storia ha una data precisa: 20 giugno 2017. Giorno in cui il tribunale di Catania dichiara Tecnis insolvente nei confronti dei suoi creditori. Dodici giorni dopo l’avvio della procedura di amministrazione straordinaria. 

Secondo l’accusa il dissesto di Tecnis sarebbe stato determinato da una serie di condotte dei suoi volti simbolo. I contorni di questa vicenda emergono grazie alle carte dell’inchiesta. Costanzo e Bosco avrebbero «effettuato senza alcuna giustificazione sistematici trasferimenti di denaro nei confronti di due società». I soldi però dentro i forzieri, come nel caso della TerniRieti,  restavano per poco tempo poiché «immediatamente trasferiti ad altre aziende» sempre appartenenti alla galassia dei due costruttori. Sono 55 i milioni di euro, concessi tra il 2010 e il 2013, quelli che servivano per la realizzazione dei lavori della direttrice di Civitavecchia. Almeno sulla carta, perché in realtà sarebbero stati stornati a una terza società: la Ing.Pavesi. Stesso schema nei confronti della società consortile Cuma. Tecnis finanzia, l’azienda incassa ufficialmente per riuscire ad avviare l’appalto ma i soldi poco dopo vengono nuovamente spostati ad altre realtà. 

Nel 2015 queste vicende vengono messe nero su bianco in altrettante scritture private in cui Tecnis programmava il rientro dei crediti. Ma di quasi 57 milioni di euro non c’è traccia. Sono soldi, secondo l’accusa, «che hanno inciso in maniera determinante sullo stato di insolvenza di Tecnis», si legge nei documenti. Si potrebbe dire che dietro c’è solo una strategia imprenditoriale sbagliata? Non è così secondo la procura e i suoi consulenti, specializzati in materia fiscale, della PricewaterhouseCoopers: «Il credito – scrivono – è il prodotto di continui e ingiustificati trasferimenti di risorse finanziarie». Nell’elenco c’è pure la vicenda della ASR/20, nata per i lavori di adeguamento di un lotto dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. I magistrati hanno analizzato alcuni trasferimenti di denaro risalenti al 2013. Soldi che, secondo i pm, avrebbero avuto la finalità di finanziare indirettamente la Cogip, riconducibile sempre a Tecnis. Alla vigilia di Natale dello stesso anno c’è pure un passaggio di ramo d’azienda alla holding di Costanzo e Bosco. Operazione che non è stata realizzata «per ragioni economico aziendali, quanto al fine di concedere ulteriori finanziamenti indiretti». Da un lato Tecnis metteva in contabilità dei crediti, dall’altro si accollava debiti scaduti verso fornitori ed Erario pari a 25 milioni di euro.

Il filone più complicato, perché particolarmente tecnico, è quello dei contratti di cash pooling per l’accusa finalizzati alla bancarotta fraudolenta. Cioè l’accentramento delle risorse finanziarie di un gruppo d’imprese in capo a una di esse, chiamata pooler. L’obiettivo è creare un conto utile a compensare attivi e passivi delle varie aziende. Nel caso di Tecnis l’accordo sarebbe stato quello con la Cogip holding risalente al 2012. Obiettivo sempre lo stesso: foraggiare da un lato indebolire dall’altro.

Per Bosco e Costanzo la procura, secondo quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare, aveva chiesto il carcere. Ma alla fine il giudice per le indagini preliminare Luigi Barone ha scelto i domiciliari. Dietro il loro modo di fare impresa emergerebbe «una disinvoltura nella commissione di gravi reati… si consente di ritenere in termini di quasi certezza la ricorrenza di concrete occasioni di reiterazione e l’inserimento in un contesto che offre sistematiche occasioni di delinquere». Perché i due, dopo essere finiti nei guai per le tangenti Anas, aveva ricominciato da dove avevano finito. Costruzioni e appalti, specie affidati da istituzione pubbliche nel nome di Amec. La nuova ammiraglia degli ultimi cavalieri dell’imprenditoria. 


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