«S’io fossi sindaco»… Giovanni Burtone

A pochi giorni dalle elezioni per la carica di primo cittadino, Giovanni Burtone sembra sereno. Anche se girare per tutta la città per parlare con la gente è faticoso. Parlare, spiegare e confrontarsi con i catanesi che gli espongono i mille e più problemi di ogni giorno: dalle strade da rifare al lavoro che manca.
 
Potrebbe illustrarci il Suo programma per Catania in tre parole?
«Patto dei diritti e dei doveri della cittadinanza».
 
Quanto è difficile questa campagna elettorale per il Suo schieramento a Catania?
«E’ inutile nascondere nelle ultime elezioni regionali e nazionali non abbiamo avuto un buon risultato, ma ogni elezione ha una storia a sé. I cittadini sanno che scegliere il sindaco è un’operazione delicata e che sbagliare persona potrebbe essere disastroso, come d’altronde è successo con Scapagnini. Abbiamo, però, avviato una campagna elettorale totalmente differente rispetto al passato: l’obiettivo è stato quello di incontrare la gente nei luoghi dove vive, in tutti i quartieri, nei luoghi di lavoro (aziende, uffici, negozi). E l’abbiamo fatto scegliendo il dialogo, il faccia a faccia».
 
E cosa viene fuori da questo dialogo?
«Abbiamo ascoltato, abbiamo cercato di capire ciò che i catanesi chiedono e, nel contempo, abbiamo pensato di dare le “nostre” risposte. Abbiamo avvertito in loro questo senso di sfiducia, la preoccupazione che Catania non possa cambiare. Pensiamo che dopo questa velocissima campagna elettorale in cui abbiamo cercato di dare il meglio, la gente abbia capito il nostro messaggio».
 
In città si sente molto meno “l’aria” da campagna elettorale rispetto a tre anni fa. Per quale motivo?
«Le ultime elezioni si sono svolte appena qualche mese fa e molti avvertono un po’ di stanchezza. Ma c’è dell’altro. Io e i miei alleati abbiamo scelto di incontrare le persone e di tralasciare la formula delle manifestazioni che sono sì, molto belle e coinvolgenti, ma che nei pochi giorni di campagna che avevamo a disposizione, rischiavano di non avvicinarci ai catanesi come volevamo. Credo tuttavia che nell’ultima settimana la campagna elettorale si sia infiammata non tanto tra i candidati quanto tra la gente, che comincia a riflettere e a scegliere. Catania è andata indietro, ci sono segni di degrado molto evidenti: dall’oscuramento di interi quartieri di periferia e del centro – e non mi riferisco solo al buio dei quartieri, ma anche quello culturale e civico -, dalle strade piene di buche alla mancanza di pulizia, dal traffico impazzito all’aumento della microcriminalità».
 
Il problema più urgente, secondo Lei?
«Ce ne sono tanti, troppi. Questa città ha fame di sicurezza economica e sicurezza per le strade, di sviluppo, legalità. Ha fame di speranza. Basta passare davanti a piazza Duomo per vedere donne e uomini che contestano e chiedono di poter parlare con il commissario straordinario o con il ragioniere generale. Sono quelli che chiedono – giustamente – di essere pagati per le loro prestazioni; quelli che aspettano gli stipendi, anche da otto, nove mesi. Quelli che per questo hanno dovuto interrompere le attività delle loro coop».
 
Di chi è la colpa?
«Questo quadro negativo ha dei nomi e cognomi ben precisi. Quelli di chi è fuggito dopo aver depauperato Catania: Scapagnini, ma anche i suoi compagni di giunta, da Lombardo a Musumeci (che, non dimentichiamolo, è stato anche lui vice del sindaco uscente).
E poi ci sono tanti assessori di quella giunta che ha chiuso il suo operato con disonore politico  e che oggi vengono riproposti da Stancanelli. Tutta gente che ci ha offerto una chiara e palpabile visione di un centrodestra che opererebbe in continuità. Continuità con i disastri che purtroppo abbiamo davanti ai nostri occhi
».
 
Questione sicurezza: esiste a Catania un problema di microcriminalità legato alla presenza di extracomunitari irregolari?
«Penso che l’aumento della microcriminalità non sia conseguente – come invece si cerca di far credere – alla presenza degli immigrati; anzi, ci sono tanti immigrati che sono rispettosi delle famiglie e dei singoli cittadini, che hanno rispetto della multiculturalità. Aumentano gli scippi, le rapine. Lo dicono in maniera evidente i dati del Ministero dell’Interno; credo che questi dati siano legati al forte disagio sociale, al degrado urbano che si è determinato nella nostra città, all’evasione scolastica, dato quest’ultimo che è stato sottovalutato».
 
Cosa fare, allora?
«Bisogna agire, secondo me, su due fronti. Assicurando il presidio sul territorio: devono esserci più vigili urbani presenti nel centro della città (soprattutto il sabato, quando si verificano più episodi di bullismo), più agenti di polizia e carabinieri. Ma anche mettendo in atto una politica preventiva che Scapagnini, Lombardo e gli altri hanno fortemente trascurato: mi riferisco all’urgenza di di vedere impegnata seriamente l’istituzione a fianco delle associazioni di volontariato laiche e religiose che hanno una funzione fondamentale nel territorio assieme alle scuole, che – particolarmente in periferia – operano a volte in totale solitudine».
 
A Catania è molto sentito il problema delle cosiddette “strisce blu”. Non pensa che siano troppe? Ed è giusto che, per poter lasciare una macchina sotto casa propria, chi abita in una zona a strisce blu debba pagare 150 euro l’anno?
«Basta dare un’occhiata al mio programma per sapere come la penso. Il secondo punto è chiarissimo e propone il ridimensionamento delle strisce blu in tutta la città, tranne che nelle zone centrali ad altissima densità burocratica e commerciale. Nessun licenziamento, ovviamente, bensì riqualificazione professionale degli ausiliari del traffico ed impiego per rafforzare le attività socialmente utili. Tutta la politica delle strisce blu è da rivedere, concertando prezzi e cercando di renderli il più possibile equi».
 
Altro aspetto non trascurabile del problema viabilità sono le buche nelle strade: è così difficile fare una manutenzione tempestiva?
«Credo che il problema delle buche nelle strade ne nasconda un altro persino più grave. Non è normale che il Comune non vigili sulla qualità degli interventi di manutenzione effettuata dalle imprese. Non è normale che alle prime piogge la pavimentazione salti, come se l’intervento non fosse mai esistito. L’amministrazione Scapagnini avrebbe dovuto esigere qualità e correzioni gratuite in caso di manutenzione non ben effettuata. Come succede nelle città civili della nostra Europa, e come succedeva ai tempi di Bianco sindaco».
 
Tornando alla questione dei parcheggi in città, da piazza Vittorio Emanuele a piazza Ariosto commercianti e residenti sono sul piede di guerra per evitarne la costruzione. Bisogna farli? Ci sono alternative concrete?
«Quello dei parcheggi è un tasto dolente. E’ chiaro che in questa città servono, sarebbe stupido affermare il contrario. Credo però che vadano fatti lontani dal centro abitato e credo pure che vadano costruiti in accordo con un’intelligente politica urbanistica. Le inchieste della magistratura, sorte grazie alle denunce dell’opposizione in consiglio comunale, non sono il frutto di una casualità. I residenti di quelle piazze stanno subendo un’angheria indicibile e, quel che è peggio, subiscono pure l’onta dell’indifferenza».
 
Lei ha scelto di iniziare la campagna elettorale a Librino. È segno di un diverso impegno verso le periferie? O è solo una strategia per sottrarre voti a un elettorato tipicamente legato alla destra?
«Capisco che le campagne elettorali possono sembrare frutto di una strategia comunicativa povera di contenuti genuini. Invece sono questioni vere, che noi sentiamo. Lo dimostra la scelta di mettere un assessore alle periferie sud. Non siamo andati lì soltanto per l’apertura della campagna elettorale ma siamo tornati con Rosy Bindi; siamo andati al Villaggio Sant’Agata, abbiamo parlato con la gente e ci siamo recati nelle singole case. Siamo tornati nei mercati, non solo per distribuire volantini ma per capire quella realtà».
 
Se fosse sindaco, da cosa partirebbe?
«C’è bisogno di completare le opere che sono state fatte e che questa amministrazione non ha avuto la capacità di realizzare facendo delle scelte spesso inaccettabili: che bisogno c’era di rifare corso Italia, cominciare lavori e poi bloccarli e cominciarne altri? Ci sono delle strutture che sono state iniziate da Enzo Bianco e dalla sua amministrazione che poi sono state abbandonate, opere completate che non sono mai state consegnate alla città».
 
Lei ha già reso noto la sua “squadra” al Comune qualora vincesse queste elezioni. Le sue scelte da cosa sono state determinate?

«Le scelte sono state dettate dall’esigenza di offrire alcune professionalità alla città. Ho voluto mettere in campo anche coloro i quali si sono battuti nell’opposizione per dare continuità alla nostra iniziativa politica: partiamo dall’esperienza che abbiamo avuto con Enzo Bianco e con l’opposizione di questi ultimi anni. Poi abbiamo voluto dare un segnale al mondo culturale: aver voluto una catanese (Mariella Lo Giudice, ndr) che si è affermata nel mondo del teatro con grande determinazione è stato per noi un fatto estremamente significativo».
 
Cosa prevede il suo programma sui rapporti tra la città e l’università?
«Ho fatto un giro in pullman a Catania con i miei assessori. L’obiettivo era mostrare, indicando i luoghi, le nostre scelte per la città.  La prima tappa – e non è stata una scelta casuale – è stata piazza Dante davanti ai Benedettini, che è la culla della cultura a Catania. Dobbiamo ripartire proprio da questo: riaprire un rapporto con l’università, l’unico baluardo di cultura in questi anni a Catania. Dobbiamo farlo a tutti i livelli, rilanciando il progetto di una città per i giovani. La mia più grande ambizione è quella di creare una grande biblioteca umanistica nel Palazzo dei Gesuiti. Fare lo sforzo di immaginare una città così com’era stata un tempo, una città aperta ai grandi eventi e ai grandi incontri. Trovare, quindi, di nuovo dei luoghi dove i giovani possano incontrarsi, come ad esempio piazza Carlo Alberto che potrebbe ospitare dei grandi eventi di musica. Catania potrebbe essere un centro pilota per i progetti Erasmus… Credo che ci siano tutti i presupposti e le energie per ricostruire quello che Catania era una volta».
 
Per finire, l’esame di catanesità. Burtone se la cava abbastanza bene con la formazione del Catania. E prova pure a mimare, a braccia aperte, l’esultanza del “Gabbiano” Spinesi. La bevanda preferita al chiosco è il mandarino verde con doppio limone. Un euro e cinquanta, invece, è il prezzo dell’arancino: «Dipende, però, da dove lo si va mangiare».


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