È un altro capitolo, ma non l'ultimo, della battaglia che Carmelo Cocuzza, licenziato ingiustamente 16 anni fa, ha avviato contro la base Usa in territorio di Catania. Dopo mesi di tentativi di pignoramento falliti, stavolta ha portato via le derrate alimentari, escluse frutta, verdura e carne fresca
Sigonella, pignorato negozio da un milione di dollari L’ex dipendente: «Atto di forza, basta prese in giro»
La battaglia dell’ex vetrinista contro la base statunitense di Sigonella continua. Carmelo Cocuzza è stato licenziato 16 anni fa perché accusato di aver falsificato le timbrature del suo cartellino di lavoro. Il tribunale, però, gli ha dato ragione in tutti i gradi di giudizio e adesso una sentenza passata in giudicato impone agli Usa il reintegro di Cocuzza e il pagamento degli stipendi di questi 16 anni senza lavoro, comprensivi di contributi previdenziali. Una decisione che i vertici della base militare non hanno ancora rispettato e che ha portato l’ex lavoratore a una serie di tentati pignoramenti nel corso dei mesi. Fino a ieri quando l’ufficiale giudiziario è entrato nel negozio di generi alimentari di Sigonella e ha pignorato oltre diecimila articoli, esclusi frutta, verdura e carne fresca. Vale a dire merce per un valore complessivo di un milione e 100 dollari.
«Abbiamo tenuto questa cosa in silenzio perché abbiamo aspettato di vedere come andava a finire – racconta Cocuzza – Sono giorni che facciamo azioni di pignoramento che non portano a niente». Era cominciato tutto a marzo quando il vetrinista ingiustamente licenziato aveva avviato la sua guerra personale contro gli Stati Uniti d’America, annunciando che si sarebbe presentato davanti alla base per chiedere che venisse rispettata la sentenza della giustizia italiana che gli dà diritto al reintegro e al risarcimento. In quell’occasione l’ambasciata Usa, con un po’ di imbarazzo, lo aveva convocato, avviando un tavolo di trattativa per trovare con lui un accordo. Il risultato, però, non era stato quello sperato: un’offerta economica definita «ridicola» e una metaforica porta sbattuta in faccia. Così erano ricominciati i tentativi di prendere l’equivalente di quanto gli spettava in prodotti in vendita al Navy exchange, il negozio di articoli vari (dalla tecnologia ai gioielli) in cui Carmelo Cocuzza lavorava.
«Ad aprile il loro avvocato ci aveva promesso che se ci fossimo fermati avremmo trovato una soluzione al problema entro un paio di settimane – ricorda l’uomo – Lui, però, è sparito per oltre un mese. Così abbiamo inviato una lettera dicendo che saremmo andati avanti con il pignoramento». La risposta della base Usa si fa attendere giusto qualche giorno: «Mi è stato notificato un ricorso da parte loro. Dopo 16 anni mi portano ancora in tribunale, nonostante siano loro a non rispettare le sentenze e la giustizia italiana. Mi accusano di compiere azioni illegali». A quel punto, con la nuova convocazione in mano, Cocuzza torna alla carica. E l’8 aprile si presenta davanti alle porte di Sigonella con l’ufficiale giudiziario e i carabinieri. «Ci hanno fatto trovare la porta del Navy exchange chiusa. Ci hanno detto che loro non aprivano e che se volevamo potevamo sfondarla», ricorda Carmelo Cocuzza.
Di fronte alla richiesta di buttare giù la porta, «ci siamo rifiutati – prosegue – e ci siamo limitati a dire che ci saremmo presentati a oltranza. Quanto gli sarebbe costato tenere chiuso per tutto quel tempo?». Ieri, come promesso, Cocuzza, l’ufficiale giudiziario e i carabinieri si ripresentano. E la porta del Nvy exchange è ancora chiusa. «Ma quella del negozio di alimentari lì accanto, invece, era aperta. Abbiamo chiesto di entrare, loro ce lo hanno negato e sono intervenuti i carabinieri. L’ufficiale giudiziario ha annunciato che avrebbe chiamato l’esercito se non ci avessero lasciati passare». Forse quest’ultima minaccia è servita allo scopo. E così, dopo mesi, il pignoramento è finalmente iniziato. «Abbiamo sequestrato tutto quello che non è immediatamente reperibile – spiega l’ex dipendente – Loro si sono accorti del danno incredibile che stavamo causando e ci hanno proposto di aprire il negozio di tecnologia e farci pignorare quello. Ma questo non è un gioco».
Adesso, quindi, circa diecimila articoli in vendita allo spaccio Usa sono bloccati. Non possono essere spostati, né venduti, «altrimenti commettono un reato». Più di un milione di dollari di merce è ferma e impossibile da usare. Almeno fino all’udienza contro il pignoramento fissata per martedì davanti al tribunale del Lavoro di Catania. «Ma sul mio caso si è già espressa la Cassazione – conclude Cocuzza – Non so da chi siano consigliati e perché stiano agendo così, ma più tempo ci mettono a chiudere questa storia e peggio è per loro. Io sto continuando a maturare stipendi e la giustizia dice che ho ragione. Prima o poi dovranno darmi quello che mi spetta. Il pignoramento è solo un atto di forza, che devo portare avanti per far valere i miei diritti».