“Sicilia Saudita”: così un giornale del Nord ironizza su Siracusa che si organizza per dare aiuto ai minori che arrivano con le carrette del mare…

PURTROPPO C’E’ CHI NON RIESCE ANCORA A CAPIRE CHE PER I SICILIANI L’ACCOGLIENZA E LOSPITALITA’ SONO VALORI IRRINUNCIABILI. L’ARTICOLO DI FAMIGLIA CRISTIANA

La Sicilia si trova, da anni, in prima linea nell’accoglienza ai migranti. Nonostante e condizioni economiche e sociali della nostra Isola, che non sono floride, facciamo di tutto per accogliere tanta gente che fugge dalla fame e dalla morte. Nonostante i nostri sforzi, ci prendono pure in giro. Oggi, ad esempio, un quotidiano on line, definisce la nostra la nostra Isola “Sicilia saudita” solo perché, a Siracusa, è stato organizzato un particolare servizio di accoglienza ai minori. Ma che Italia è quella in cui viviamo?

Il giornale on line in questione è “Imola Oggi.it”. Che oggi, commentando un articolo sul dramma degli immigrati che arrivano in nella nostra regione pubblicato sul settimanale Famiglia Cristiana titola: “Sicilia Saudita: un “tutore personale” per ogni babyslamico che sbarca sulle coste sicuracusane”.

Segue un’introduzione: “D’ora in poi, ogni minore non accompagnato che sbarca sulle coste siracusane sarà seguito fin dal suo arrivo da un ‘tutore personale’. E’ un accordo in barba alle leggi italiane e internazionali fra Asgi, Arci, Prefettura e Tribunale dei Minori. Questa notizia, si legge oggi su famiglia crislamica”.

Ora, a parte il cattivo gusto di definire il settimanale Famiglia Cristiana “famiglia crislamica”, che cosa c’è di male se i siciliani, a Siracusa, si organizzano per dare soccorso ai minori che sbarcano sulle nostre coste? Epoi, di grazia, che significa “Sicilia Saudita”?

Leggiamo assieme l’articolo pubblicato su Famiglia Cristiana a firma di Stefano Pasta:

Arriva da Siracusa una buona notizia e un modello per l’accoglienza dei minori non accompagnati. Grazie al buon esito di un tavolo tecnico tra Asgi, Arci, Prefettura e Tribunale dei minori, ogni ragazzo sbarcato sulle coste siracusane senza famiglia sarà seguito fin dal suo arrivo in Italia da un tutore “personale”. In un momento così delicato, avere accanto un valido punto di riferimento è fondamentale.

Ne parliamo con l’avvocato Carla Trommino, referente dell’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) di Siracusa.

– Da dove nasce l’idea di affidare il minore a un tutore?

«Dalla situazione di inciviltà inaccettabile in cui si sono trovati i minori non accompagnati sbarcati nel Siracusano in questi mesi. A causa della mancanza di strutture adeguate,stavano per settimane in grandi stanzoni, promiscui agli adulti, senza informazioni, senza assistenza legale e mediazione linguistica. Nella struttura dell’Umberto I, i ragazzi giravano senza scarpe, talvolta in condizioni igienico-sanitarie gravissime. Paradossalmente, i minori avevano meno diritti degli adulti: non potevano ad esempio chiedere l’asilo politico e il trasferimento in un Cara e per questo ripetevano “Io no bambino”. Serviva dare immediata rappresentanza e tutela legale a questi adolescenti in condizioni di fragilità». (sopra, a destra, foto tratta da arci.it)

– Quali sono le novità?

«Chiariamo subito che il tavolo tecnico non introduce una “nuova legge”: è stato fatto proprio per applicare la legge e gli accordi nazionali e europei che prevedono che al minore sia garantita la tutela. Fin dalle prime ore dello sbarco, a ogni minore straniero solo viene “assegnato” un tutore, che lo segue in ogni sua esigenza, lo porta alla visita medica e allo sportello legale, cerca di capire la situazione di provenienza, il perché dell’emigrazione, quali sono i suoi desideri, se è ricattato da qualche trafficante. Con un progetto personalizzato, a seconda della situazione, lo aiuta a presentare la domanda di asilo politico, oppure a ricongiungersi con eventuali parenti, oppure a individuare una comunità di accoglienza adatta. In questo modo, i ragazzi non rimangono disorientati per settimane insieme agli adulti nei centri di accoglienza, come accadeva prima. È poi importante ricostruire se il ragazzo ha già una rete familiare: la scorsa settimana, abbiamo aiutato un ragazzo siriano, in fuga dalla guerra, a ricongiungersi con lo zio che abitava da anni in Austria, in buone condizioni economiche, e che verrà a prendere il nipote a giorni».

– Chi sono i tutori?

«Per ora sono una quarantina di volontari: si tratta per lo più di avvocati, psicologi, educatori e volontari già impegnati in campo sociale, ma stiamo avendo ottimi risultati anche con “non professionisti” del settore, come un geologo. Un’altra direzione interessante è questa:un ragazzo è già stato dato in affido a una famiglia, altre quattro hanno appena dato la disponibilità ad accogliere un minore a casa loro. Da tempo, sosteniamo che l’affido debba diventare la forma privilegiata di accoglienza. Conviene anche dal punto di vista economico: un minore in affido costa allo Stato 400 euro al mese, in comunità 2.000».

– Quali sono i risultati ottenuti finora?

«Con la nomina del tutore, i minori si sentono finalmente accolti, hanno qualcuno di cui fidarsi. È fondamentale infatti che abbiano un punto di riferimento affidabile in un momento particolare della loro vita. Da quando si è trovata questa soluzione, siamo riusciti ad assegnare un tutore a tutti i minori, circa una cinquantina. Pur con qualche resistenza, c’è stata una virtuosa collaborazione tra istituzioni e associazioni: siamo particolarmente grati al Presidente del Tribunale dei minori, che ha partecipato al tavolo anche se in ferie».

– Chi sono i ragazzi non accompagnati che sbarcano sulle coste?

«Per aiutare veramente questi ragazzi, occorre capire che non sono tutti uguali, così come le motivazioni della migrazione. Le nazionalità aiutano spesso ad avere una prima indicazione, poi ovviamente bisogna analizzare la storia del singolo individuo. Negli ultimi mesi, sono sbarcati soprattutto siriani, egiziani, somali e eritrei. I siriani spesso hanno una buona condizione economica, fuggono dalla guerra, non vogliono rimanere in Italia (per questo, non vogliono essere identificati) ma raggiungere la rete familiare in altri Paesi europei. Gli egiziani vengono per motivi economici, hanno un forte collegamento con le famiglie di originesull’altra sponda del Mediterraneo. Somali ed eritrei sono spesso i figli maggiori di famiglie numerose e poverissime, in ansia poiché in pochi mesi devono restituire migliaia di dollari presi in prestito per il viaggio».

– In generale, qual è la situazione con gli ultimi sbarchi nel Siracusano?

«Da gennaio a oggi sulle coste della provincia di Siracusa sono sbarcate oltre 5 mila persone, di cui 600 minori. Purtroppo, per quanto il Prefetto abbia mostrato molta attenzione ai suggerimenti delle associazioni, la logica dell’accoglienza è stata segnata dal “tappare i buchi”. La situazione è di emergenza solo perché non si è voluta affrontarla in modo diverso».

Con tutto il rispetto per Imola Oggi.it, noi non troviamo sbagliato che a Siracusa ci si organizzi per dare aiuto ai minori che sbarcano da Paesi molto più poveri del nostro. A differenza di certi leghisti, i siciliani non pensano, né penseranno mai che alle imbarcazioni degli immigrati bisognerebbe bombardarle. I siciliani hanno nel proprio “Dna” il senso dell’accoglienza e dell’ospitalità: ironizzare su chi si mette a disposizione del prossimo, con spirito cristiano, non ci sembra una manifestazione di particolare lungimiranza.

I siciliani conoscono tutto l’alFabeto dell’emigrazione: la “spartenza”, che indica il distacco dalla propria terra; ricordano ancora la parola “Dagoes”: parola con la quale gli americani, alla fine dell’800, indicavano, dispregiativamente, gli emigranti di origine italiana; hanno conosciuto i Good Citizens, i “buoni cittadini” che scannarono i siciliani a New Orleans il 14 marzo del 1891; e sanno pure – perché gliel’hanno raccontato i loro avi – il significato della parola “Admitted”, che tradotto significa “Ammesso”, la scritta sul cartoncino che l’emigrante riceveva ad Ellis Island, che rappresentava il lasciapassare per entare negli Stati Uniti d’America. E, soprattutto, ricordano una formula linguistica che hanno imparato per non adoperarla mai: Wop gobek itali, che sta per wop go back ti Italy: Italiano, tornatene a casa.

Ebbene, noi, in Sicilia, alla gente che arriva nella nostra terra per sfuggire alla fame e alla morte, non diciamo: “Tornatene a casa”. Noi li accogliamo. E, come hanno fatto a Siracusa, città accogliente e civile per antonomasia, ci premuriamo di assicurare la migliore assistenza possibile anche ai minori.

Detto questo, ci dispiace, e molto, che ci siano persone che trovino tutto questo motivo per fare ironia. Non ci dispiace per noi: ci dispiace per loro. Perché queste persone non descrivono la Sicilia e i siciliani: descrivono solo se stessi. E non è una bella descrizione.

 

 

 

 


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