L’indagine della Corte dei Conti sul piano regionale dei rifiuti: i rilievi delle associazioni tra costi sballati e concorrenza sleale

Verificare la corretta gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia. Passata, presente e, soprattutto, nel piano per l’imminente futuro: tra i due termovalorizzatori previsti e altri 44 nuovi siti da costruire. È arrivata la scadenza di settembre fissata dalla Corte dei conti nella sua richiesta di chiarimenti avanzata quest’estate. A cui ieri si è aggiunta la relazione tecnica inviata dalle associazioni Legambiente Sicilia, Wwf Sicilia, Zero Waste Sicilia e Federconsumatori Sicilia. Un contraddittorio che si inserisce in uno scenario di «ripetuti ritardi nell’adozione e aggiornamento del Piano regionale di gestione dei rifiuti» e di «urgenza determinata dalla perdurante inefficienza del sistema regionale», ricordano le associazioni, citando la stessa Corte dei conti. Risposte, quelle del governo di Renato Schifani, che secondo gli ambientalisti conterrebbero anche una serie di «incongruenze e criticità rispetto al diritto europeo, alla normativa nazionale e regionale e ai principi di neutralità della Pubblica amministrazione». Rilievi inseriti nella relazione tecnica, insieme a un’analisi dei «costi a carico della finanza pubblica e dell’utenza» e alla richiesta di monitoraggio e individuazione delle eventuali responsabilità, anche penali.

La battaglia dei rifiuti, tra interesse pubblico e privato

A fare scontrare la visione di Schifani con quella delle associazioni ambientaliste è, innanzitutto, il destino dei sacchetti di rifiuti prodotti dai cittadini siciliani. Un destino che, nel piano regionale, è a tutto vantaggio della produzione di energia e combustibile ricavati dalla spazzatura – non sempre puliti né al passo con i tempi – e del conseguente guadagno, attraverso la nascita di nuovi impianti. Non solo i due termovalorizzatori, ma anche con le 11 nuove piattaforme pubbliche di recupero e raffinazione previste, i 14 nuovi impianti di compostaggio e i 20 biodigestori da aggiungere agli esistenti. Un’ottica che, secondo gli ambientalisti, si scontra con la disciplina europea, che attribuisce «la priorità al recupero di materia rispetto al recupero di energia». Ma non solo. Come riportato nella relazione, sia la Corte di giustizia dell’Unione europea che il Tar Sicilia, in due pronunce degli ultimi anni, hanno messo nero su bianco come a poter essere gestiti dagli enti pubblici siano solo i rifiuti urbani. Che, quando vengono trattati, diventano rifiuti speciali. I quali, secondo le sentenze, «devono rientrare nei circuiti della libera iniziativa economica – si spiega nella relazione tecnica – senza indebite interferenze pubbliche». La Regione, insomma, non potrebbe guadagnarci con appositi impianti pubblici, «perché ciò determinerebbe una concorrenza sleale con gli operatori privati, oltre a costituire un uso distorto delle risorse pubbliche». Le quali, sempre secondo le direttive europee, dovrebbero concentrarsi più sulla minore produzione di rifiuti e il loro riciclo, che sul guadagno che possono generare.

Il piano regionale senza tempi né costi

A determinare questa incoerente destinazione dei rifiuti siciliani è, secondo le associazioni, un «processo decisionale difettoso», con un piano di gestione a cui mancano «elementi programmatici certi e un cronoprogramma finanziato per la realizzazione della rete impiantistica necessaria». Tempi e soldi: due parametri la cui assenza, si legge nella relazione tecnica, «non consente alcuna valutazione oggettiva della fattibilità degli obiettivi» e «rende opache le successive determinazioni». Scelte che, peraltro, oltre ad avere «già impegnato risorse pubbliche per attività preparatorie», rischiano di non avere una solida analisi neanche in un secondo momento. Almeno considerate le «scorciatoie» adottate dal governo regionale che, sottolineano le associazioni, «mostrano una tendenza a comprimere i tempi di consultazione e a concentrare responsabilità e competenze in strutture ad hoc». Come ad esempio l’ordinanza di Schifani, in qualità di commissario straordinario, che «riduce i termini per la presentazione delle osservazioni nella procedura di valutazione ambientale, nonché la contemporanea istituzione dell’Ufficio speciale per la valorizzazione energetica e la gestione del ciclo dei rifiuti». Tutte condizioni che, si rende esplicito nella relazione, «espongono al rischio di maggiori costi per la finanza pubblica e, di conseguenza per i cittadini, con ricadute su tariffe e bilanci comunali».

I (pochi) conti del piano che non tornano

A tutto questo si aggiungerebbero, secondo gli estensori della relazione, quei pochi conti possibili sul piano di gestione regionale che sembrano già non tornare. Come nel caso dei rifiuti di scarto da destinare ai termovalorizzatori anziché agli impianti per la produzione di combustibile solido secondario (Css). Conferire nei primi, si cita dagli stessi calcoli regionali, costerebbe «tra 170 e 220 euro a tonnellata, con una tendenza all’aumento», mentre per cedere il Css ai cementifici bastano «circa 30 euro a tonnellata». Una differenza che confermerebbe «l’assurdità della scelta regionale». Tanto più che anche gli impianti per il combustibile solido secondario sono previsti – e più rapidi da realizzare – rendendo, in futuro, una delle due tipologie quanto meno superflua. Ma a non convincere le associazioni sono anche le quantità di rifiuti stimate. Generiche, da parte della Regione, che basa i suoi pochi calcoli sulle quantità di scarto del 2022: senza tenere conto, insomma, delle maggiori percentuali di raccolta differenziata raggiunte e, meno ancora, di quelle da raggiungere secondo gli obiettivi imposti dall’Unione europea, «con il rischio concreto di sanzioni comunitarie e di esclusione da finanziamenti vincolati al rispetto degli obiettivi ambientali». Target che vorrebbero, anche in Sicilia, una quantità di scarto pari a «circa 400mila tonnellate nel 2029 e poco più di 300mila al 2035»: la metà delle 730mila tonnellate del 2022 usate come parametro, e della capacità complessiva di circa 600mila tonnellate annue prevista per i due termovalorizzatori.

Gli sprechi dell’emergenza

E la scarsa lungimiranza dovuta alla ventennale gestione emergenziale del ciclo dei rifiuti in Sicilia è al centro di un apposito capitolo dei rilievi tecnici delle associazioni. In cui si sottolinea come «la creazione e il mantenimento di strutture straordinarie, tra commissari, uffici speciali e staff di supporto», in aggiunta alle strutture ordinarie – dal dipartimento regionale alle Srr provinciali– abbia comportato e comporti «oneri finanziari aggiuntivi» e «contabilità speciali, talvolta non chiuse o prive di regolare visto della Ragioneria territoriale dello Stato». Il tutto senza garanzie di un buon risultato. Aggravato, anzi, dalle spese degli ultimi anni per portare i rifiuti fuori dall’Isola. Un modello di gestione della spesa che, ricordano le associazioni, in casi simili «la Corte ha già riconosciuto come fonte di responsabilità amministrativa per danno erariale». Una governance frammentata – con 280 ambiti di raccolta ottimali (Aro), ognuno con i propri appalti -, per la quale «già dal 2016, sia l’Anac sia il Governo nazionale hanno diffidato la Regione siciliana a modificare il proprio quadro normativo, giudicato incoerente», si richiama nel documento. Tirate d’orecchie che, però, sono rimaste «lettera morta – concludono le associazioni – La Regione non ha avviato alcuna riforma e il nuovo Piano rifiuti non ne dà cenno».


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