Sicilia, l’isola che c’è

«Pagare il pizzo significa finanziare la criminalità organizzata: lo spaccio di droga, lo sfruttamento della prostituzione, gli omicidi». Filippo Conticello, giornalista pubblicista 24enne, autore de “L’Isola che c’è”, ribadisce l’importanza della lotta al racket: «Mai fare l’errore di considerarlo un problema marginale. Attraverso il racket la mafia controlla il territorio e si impone come autorità, diventa Stato». Nel suo libro Conticello ha raccontato storie di uomini normali che hanno reagito nel modo più naturale al tentativo di estorsione: hanno detto no. «Chi si ribella non è un eroe, è solo una persona con la schiena dritta, responsabile. Il problema dell’Italia è che nessuno – dal cittadino allo Stato – si prende la propria parte di responsabilità».

Andrea Vecchio, tra gli imprenditori intervistati da Conticello nel suo libro inchiesta, dice: «Dovremmo partire dai piccoli gesti quotidiani. Purtroppo siamo assuefatti a questo sistema, nemmeno lo vediamo più. Il male del nostro Paese è proprio questo. La mafia non è solo delinquenza, è anche il funzionario che ritarda la pratica e incassa la mazzetta, è il voto di scambio. La delinquenza organizzata è solo la punta dell’iceberg del degrado della nostra società. La politica dovrebbe essere la massima espressione della morale. Ma in Italia non c’è più politica da 35 anni».

La società civile, secondo Vecchio, non riesce a portare avanti una vera strategia antimafia: «Falcone diceva che la mafia prima o poi morirà, ma non c’è solo la criminalità organizzata: ci sono mafie che durano da duemila anni, soprattutto nel nostro Paese, e continuano a tentare di dominare persino le nostre coscienze». Dobbiamo quindi iniziare una lotta che parta dal basso, da quelle che Vecchio definisce «piccole fiammelle. E fare in modo che insieme diventino un rogo, e che non vengano spente con la punta di una scarpa come si fa con le sigarette».

Eppure quell’isola di cui Conticello parla nel suo libro esiste: «Nei mesi in cui ho girato la Sicilia per realizzare le interviste, ho scoperto la realtà antiracket di cui avevo soltanto sentito parlare. Ho conosciuto quelle associazioni che lavorano perché ciò che è successo a Libero Grassi non si ripeta mai più: Libero Grassi era solo, ed è morto per questo. Oggi in tribunale non si presenta più il singolo imprenditore, ma un’intera associazione. Questo fa la differenza».

Le associazioni e i giovani sembrano essere l’unica speranza antimafia per la Sicilia. Addiopizzo è un esempio. Conticello dice: «Quando Addiopizzo ha riempito le città con il suo volantino, dicendo che “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”, ha provocato un taglio nelle nostre coscienze». Addiopizzo è infatti l’argomento di apertura della prefazione di Tano Grasso al libro di Conticello. Per Grasso, l’associazione ha avuto il merito di elevare quello che sembrava un argomento settario, per soli commercianti, a problema di cui l’intera opinione pubblica dovrebbe occuparsi. Soprattutto educando i ragazzi alla cultura antimafiosa. Salvo Fabio, presidente di Addiopizzo Catania, dice: «Girando le scuole ci siamo resi conto di quanto poco gli studenti sappiano di antimafia. Nomi come Andrea Vecchio sono sconosciuti. Il 90% dei ragazzi crede addirittura che Pio La Torre e Libero Grassi siano dei pregiudicati». Questo significa avere elettori e futuri elettori inconsapevoli e disinformati: «Se non c’è un ricambio nella nostra classe dirigente è colpa nostra. Dobbiamo imparare ad informare i giovani e a non barattare la nostra dignità».

Fernando Gioviale, professore della facoltà di Lettere e filosofia, dice: «In un Paese normale la riconferma di una classe dirigente sotto processo per associazione mafiosa non dovrebbe accadere. Ma la Sicilia non è un Paese normale. La nostra regione è il luogo in cui la politica fa uso anche di quella sicilianità ostentata, tipica del linguaggio mafioso, che abbiamo trovato in certi slogan elettorali».

L’isola “nobile” di cui parla Conticello, purtroppo, riesce a materializzarsi solo culturalmente, e solo a piccoli gruppi. Bruno Piazzese, altro imprenditore intervistato da Conticello, mette in risalto come la grande aula magna dei Benedettini sia quasi vuota. Poche persone, e quasi tutte rappresentanti dell’antiracket. «Non è un fatto legato al libro – dice – ma in tutte le manifestazioni dedicate all’antimafia il pubblico è sempre ristretto». C’è troppa indifferenza, questo porta a considerare chi si impegna nell’antimafia un eroe. Piazzese dice: «Quello che ho fatto andrebbe considerato una cosa normale, non un atto eroico. È questa la vera libertà. Tutti parlano di libertà ma quasi nessuno capisce il vero valore di questa parola».

Andrea Vecchio. Bruno Piazzese. Nino Miceli, di cui Conticello riporta un brano estratto dalla sua autobiografia. Tutti nomi noti, ma l’autore non racconta solo le loro storie, nel suo libro dà voce soprattutto agli eroi silenti, imprenditori che – pur non avendo suscitato un’eco mediatica – hanno combattuto il fenomeno dell’estorsione. Conticello dice: «Oggi è importantissimo rivalutare la figura del semplice cittadino, capire che la lotta dobbiamo iniziarla noi». I giovani che oggi sono ventenni hanno visto con gli occhi da bambini le stragi di Capaci e via D’Amelio. «Abbiamo visto il sangue, l’asfalto sventrato dal tritolo. Penso che quei giorni, per la nostra generazione, siano stati il punto di rottura in cui abbiamo definitivamente capito da che parte dobbiamo stare».


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