Dalla scorsa estate ha deciso di parlare con i magistrati, coinvolgendo anche il figlio Salvatore, già designato come il suo erede. Insieme al fratello Ignazio è stato il capo del braccio armato del clan Cappello. Nel 1991 le manette scattarono nel giorno del suo matrimonio; l'ultimo arresto dopo un permesso premio
Si pente lo storico capomafia Concetto Bonaccorsi Padre dei Carateddi, avrebbe convinto anche il figlio
Da storico padrino devoto di Salvatore Cappello a pentito. Il capomafia Concetto Bonaccorsi da diversi mesi ha deciso di iniziare a parlare con i magistrati della procura di Catania. Il patriarca dei Carateddi, sanguinaria e spregiudicata ala militare del clan Cappello, avrebbe manifestato dei segnali di apertura compiendo il grande passo la scorsa estate, trascorsi pochi mesi dall’ultimo arresto. Gli agenti gli avevano stretto le manette ai polsi mentre era latitante a Massa e Cozzile, piccolo borgo della provincia di Pistoia, in Toscana. Era irreperibile dal 23 settembre 2016, giorno in cui aveva deciso di non rientrare da un permesso premio concessogli da detenuto della casa circondariale di Secondigliano, a Napoli.
Il profilo criminale di Bonaccorsi non è quello di un semplice mafioso. La sua, e quella della sua famiglia, è stata una vita interamente dedicata al crimine organizzato. Almeno fino al 2017. Interprete di spessore nella stagione dei cento morti ammazzati, tessitore dell’alleanza con i Cursoti milanesi sull’asse Catania-Torino, spregiudicato killer ma anche polo attrattivo degli avversari di sempre dei Santapaola-Ercolano. Basti pensare, soltanto per citare un caso, al passaggio della famiglia Strano di Monte Po. Un ventennio da dominatore incontrastato della piazza etnea nonostante la scelta di confluire all’interno della cosca di Salvatore Cappello.
Ora nella vita di Bonaccorsi c’è un nuovo capitolo. Lo stesso che ha come coprotagonista il figlio Salvatore. Appena trentenne, considerato dagli investigatori il successore naturale del padre nel quartiere San Cristoforo, ma già diventato pentito. La sua scelta è emersa nelle scorse settimane e, secondo quanto ricostruito da MeridioNews, ad avere un ruolo decisivo, indirizzandolo lungo la strada dei faccia a faccia con i magistrati, sarebbe stato proprio il padre. Forte della sua volontà di lasciarsi alle spalle il passato.
Così ci sono due pentiti dentro a una famiglia letteralmente spezzata. Sepolto dietro le sbarre c’è Ignazio Bonaccorsi, pari grado del fratello Concetto, arrestato a Napoli nel 1992 mentre si trovava in compagnia del super latitante Salvatore Cappello. Da allora è sempre rimasto in silenzio. In carcere da otto anni c’è anche il rampante nipote Sebastiano Lo Giudice, condannato a fine pena mai perché autore e mandante di diversi omicidi. Subito dopo a reggere il clan ci avrebbe pensato il padre di quest’ultimo, Gaetano, coinvolto nell’inchiesta Revenge 5.
I verbali di Bonaccorsi senior starebbero già facendo tremare i polsi a molti, in quanto racconti che provengono dal custode di segreti vecchi e nuovi del clan. Il padrino, come hanno ammesso le forze dell’ordine dopo averlo catturato, ha trascorso l’ultimo periodo di latitanza da pendolare, senza disdegnare qualche apparizione nella sua Catania. Tra i segnali di questo suo pendolarismo alcuni documenti d’identità intestati a catanesi residenti a San Berillo trovati tra le cose del boss al momento dell’ultimo arresto. Lontano dai penitenziari, quindi, Bonaccorsi potrebbe essersi aggiornato anche sulle dinamiche recenti della cosca.
Il boss diventato pentito ha una storia ricca di aneddoti, ma a spiccare particolarmente è quello risalente agli anni ’90. Nel luglio 1991 Bonaccorsi finisce clamorosamente in trappola nel giorno del suo matrimonio. Mentre è affiancato dalla moglie Concetta Valenti in una sala del municipio di Valverde, irrompono i carabinieri. Era ricercato da mesi, perché coinvolto nel duplice omicidio di due giovanissimi: Giovanni Durante, 19 anni, e Moreno Bennici, 24 anni. I corpi vennero ritrovati vicino a una Fiat Uno turbo, parcheggiata nei pressi di una discarica in provincia di Torino. Subito dopo Bonaccorsi fa perdere le sue tracce e scatta il mandato di cattura.
I carabinieri gli danno la caccia per mesi, trovando l’indizio definitivo nelle pubblicazioni di matrimonio affisse in Comune. Mentre l’allora sindaco democristiano Sebastiano Vasta pronuncia il rito, arrivano le forze dell’ordine. «Temevo un agguato – raccontava il primo cittadino intervistato all’epoca dei fatti da La Sicilia -. Poi ho visto il capitano dei carabinieri e ho tirato un sospiro di sollievo ma per un po’ di tempo preferisco non celebrare matrimoni». Le forze dell’ordine ammanettano Bonaccorsi, ma la moglie insiste per concludere la funzione. La richiesta viene accolta: gli sposini si scambiano le promesse, mentre tra gli ospiti si confondono i militari. Subito dopo le loro strade si dividono: Bonaccorsi viene portato a Torino e tutti i suoi invitati a piazza Verga, a Catania, per essere identificati e poi rilasciati. Tutti liberi a eccezione di Mario Li Mari, 35 anni, di professione barbiere ma, secondo gli inquirenti, organizzatore del matrimonio del latitante.