Sì, lo voglio!

Estate 2007, sono nuovamente a Tunisi, la città che ormai mi ha “adottata”. Mi guardo attorno: nulla è cambiato! Stesse strade, stessi odori, stesse persone che a distanza di un anno si ricordano di me e mi salutano come se ci fossimo incontrati il giorno precedente. Quest’anno niente turismo per me, niente caldo e afoso deserto, niente affascinante e romantico cielo stellato tra le dune sabbiose. Ciò nonostante, non posso rinunciare ad una capatina al souk: quell’odore inebriante e inconfondibile mi fa capire che sono realmente a casa.

Un musicista di ud, una sorta di liuto a 7 corde, mi invita nella sua casa alla medina. Ascolto incantata il suono di quello strano strumento in una stanza minuscola, con il soffitto bianco e le pareti gialle, le quali sono state decorate con frasi di poesie antiche. La melodia è rilassante ed è forse per questo motivo gli arabi lo definiscono il “sultano degli strumenti musicali”. Questo però non mi basta.

L’obiettivo di quest’anno è “diventare una di loro”. Cerco e ricerco il modo in cui potrò far mia un pezzetto di cultura araba, ma non ci riesco: Tunisi è una città troppo grande e in via di sviluppo, la calca delle macchine e la vita frenetica dei cittadini tunisini sembra nascondere ciò che cerco. Quando sto per abbandonare ogni speranza, ecco un invito ad un matrimonio! Penserete voi: “cosa c’è di strano in qualcosa che fa tutto il mondo?”. Beh, se per noi serve un anno per organizzare quell’unico giorno, che dovrebbe essere il più bel giorno della nostra vita (che poi si tramuti nell’errore più grande della nostra vita, con parenti ubriachi e piedi doloranti, è relativo), i festeggiamenti per un matrimonio nel mondo arabo durano una settimana… ma per organizzarlo non serve più di un mese!

La festa è a Cartagine, e il mio caro amico Sofien, che gentilmente mi ha invitata, mi aspetta davanti alla stazione del TGM. Lo trovo con in mano due mazzolini di gelsomino, uno per me e uno per lui, che non possono mancare nei giorni di festa tunisini. Biglietto in mano e si parte! Venti minuti dopo ecco la stazione di Cartagine, sto per scendere, ma Sofien mi chiama dicendo: “la nostra fermata è la prossima. Lo guardo un po’ pensierosa, ma presto si è svelato il mistero: una fermata dove non scende mai nessuno, o per lo meno, nessun turista. Appena scesi dal treno e usciti dalla stazione, di fronte a me due strade in terra battuta. Osservo entusiasta un’alternanza di muri bianchi e portoncini azzurri socchiusi che lasciano intravedere dei piccoli giardinetti, panche e tavoli di pietra decorati da piastrelle in ceramica colorata. Dopo un centinaio di metri comincia ad infittirsi la folla. C’è un via vai di gente che attraversa la strada ed entra ed esce da un portone all’altro (come se fosse normalissimo andare a sbirciare nelle case dei vicini). Finalmente arriviamo. Il portone è spalancato e ornato di numerose lucette intermittenti (per intenderci, le luci che noi usiamo per decorare gli alberi di Natale). Di fronte a me un grande portico e tante persone suddivise in due gruppi ben distinti. Mi avvicino un po’ di più e le figure un po’ sfocate che vedevo grazie alla mia miopia si fanno più chiare: un gruppo è formato solo da donne, e l’altro solo da uomini. Mentre gli uomini osservano da lontano e sghignazzano, le donne si voltano e si avvicinano tutte insieme, mi salutano e mi abbracciano come se fossi una loro parente. Per loro è un grande onore avere un’italiana in casa. Ringrazio, rigorosamente in arabo, e la più anziana di loro rimane sbalordita del fatto che ci siano stranieri, per lo più donne, ma soprattutto italiane, che parlano in arabo classico, una lingua da lei sconosciuta.

Mi fanno sedere (e quando dico “mi fanno sedere” è perché all’improvviso ho sentito una pressione dietro le ginocchia che mi spingeva verso il basso. Solo dopo ho capito che era una sedia infilata furtivamente nei momenti di confusione), e mi mettono in mano un bicchiere di non so cosa. Devo bere: rifiutare sarebbe mancare di rispetto e non essere contenta dell’ospitalità. Assaggio, sotto gli occhi di una ventina di persone: è buono (pur non capendo di cosa si tratti)!

Un uomo si avvicina con aria curiosa. È il cognato di Sofien che non si fa sfuggire l’occasione di bacchettarlo per essere uno “scapolo convinto” e gli suggerisce di prendere esempio dalla cugina (la sposa in questione) e sposarsi “prima che sia troppo tardi”. Questa visione apocalittica è comprensibile se si pensa che per gli arabi il matrimonio è fondamentale, paragonabile ad un bisogno di prima necessità come mangiare e dormire.

Della sposa nemmeno l’ombra: è nella sua stanza a prepararsi per il grande evento. Dello sposo, e dei suoi parenti non si hanno tracce, lui non deve essere presente oggi, il suo compito lo ha già svolto ieri, firmando il contratto di matrimonio con il futuro suocero.

Dopo un po’ mi portano in un’altra stanza. Al centro del tavolo qualche posata, tanti bicchieri, piattini sparsi colmi d’harissa, pane e tre grandi piatti colmi di “salata meshwiya”, “tanjin tunisien” e carne in un brodino vivace (per non dire rossissimo e piccantissimo). Si mangia rigorosamente tutti nello stesso piatto e a turni: prima gli ospiti (io), le donne più anziane e gli uomini della famiglia… poi tutti gli altri. Dopo aver consumato quel delizioso pasto, saliamo nella terrazza dove è stata posizionata la sedia della sposa, foderata di raso bianco e ornata da ghirigori d’argento lavorati a mano. Un gruppo in veste tradizionale suona e canta una canzone che racconta le gesta di mohammad per poi concludere con le canzoni del folclore tunisino. Piano piano la terrazza si riempie: tutto il quartiere è lì in attesa della sposa. Un rullo di tamburi ed eccola arrivare nel suo vestito coloratissimo e luccicante. Viene accolta da applausi, balli e squillanti “zagharid” delle donne. Oggi è un giorno importante per lei, le verranno tinte mani e piedi con l’hennah e l’arkous in simbolo di fecondità e felicità. I palmi delle mani la pianta dei piedi diventeranno di color rosso fuoco, mentre dalle dita al gomito verrà ricoperta con disegni floreali di arkous nero. Lo stesso verrà fatto per tutte le donne che sono presenti ai festeggiamenti e agli uomini verrà semplicemente dipinto il mignolo della mano sinistra. I festeggiamenti continueranno per tutta la notte e per i prossimi giorni fino alla festa conclusiva dove, in abito bianco, i due promessi verranno ufficialmente dichiarati marito e moglie.

È già troppo tardi per me e devo abbandonare la festa. Torno a casa, questa volta nella mia cara Sicilia, e se non fosse per quelle macchie rosse e nere nelle mie mani, direi che non sono mai andata via dalla “mia” terra! Stesso paesaggio, stessa accoglienza, stesso caldo, stessi colori, stessi profumi e nessuna differenza tra noi e loro.


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