«Sostenevano di combattere la
mafia, invece ne erano asserviti». Le parole dette dal sostituto procuratore Antonino Fanara spiegano le motivazioni che hanno portato la procura distrettuale antimafia di Catania a disporre il sequestro, per un valore che supera il miliardo e mezzo di euro, delle quote e delle azioni di Artemis e Cogip, le due società che controllavano il colosso dell’edilizia Tecnis. Uguale misura alla quale è stata sottoposta quest’ultima. Da adesso in avanti, per i prossimi sei mesi, le tre ditte saranno condotte da Saverio Ruperto. L’amministratore giudiziario nominato dal tribunale, già commissario prefettizio di Tecnis, avrà il compito di «risanare e reimmettere nel mercato l’azienda. In modo che possa operare nel rispetto delle regole e al riparo da interventi della criminalità organizzata», spiega il procuratore reggente Michelangelo Patané nel corso della conferenza stampa tenuta oggi.
I carabinieri del
Ros sono entrati stamattina nelle sedi di Tecnis, Artemis e Cogip holding. Le tre aziende che fanno parte del gruppo imprenditoriale che fa capo alla coppia Mimmo Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice, già arrestati, per un presunto giro di tangenti, nell’operazione della procura di Roma chiamata Dama Nera. Il tribunale di Catania ha disposto per tutte e tre le imprese l’amministrazione giudiziaria. Il provvedimento comporta la nomina di un commissario e il decadimento del consiglio di amministrazione, che nel caso di Tecnis era stato da poco rinnovato.
L’intervento, firmato dalla procura etnea, è la conseguenza di alcune indagini dei
Ros che hanno documentato, nel tempo, «l’asservimento del gruppo imprenditoriale alla famiglia catanese di Cosa nostra, alla quale sono state garantite ingenti risorse economiche ed è stata consentita l’infiltrazione del redditizio settore degli appalti pubblici», scrivono gli inquirenti. I maggiori appalti vinti dalla Tecnis sarebbero entrati nell’interesse delle famiglie mafiose catanesi, palermitane e messinesi: gli approdi del porto di Tremestieri (provincia di Messina), i lavori alla galleria Scianina (sulla A20 Palermo-Messina, in territorio di Barcellona Pozzo di Gotto), l’ampliamento dell’istituto penitenziario a Bicocca (nel Catanese), i lavori all’aeroporto Punta Raisi (nel Palermitano) e lungo la Strada statale 118 Corleonese-Agrigentina.
Riferimenti alla
Cogip sarebbero stati estrapolati dagli inquirenti anche dall’analisi di un pizzino risalente al 2007. Il messaggio, scambiato tra il super latitante Matteo Messina Denaro e il boss Salvatore Lo Piccolo, venne ritrovato nel covo dove si nascondeva quest’ultimo. La vicenda riguardava l’appalto vinto dall’azienda all’aeroporto di Palermo. «Stiamo togliendo l’acqua a un demone che dopo il 1992 ha assunto un volto di angelo, e che continua ad attrarre anche aziende di interesse mondiale», commenta il comandante nazionale dei Ros Giuseppe Governale, riferendosi all’inabissamento della mafia siciliana.
L’operazione ha causato un certo trambusto all’esterno della sede della Tecnis, impresa che soffre da tempo di una profonda crisi economica. I dipendenti sono stati fatti uscire dall’edificio per consentire ai militari di completare il provvedimento disposto dal tribunale. Una visita inaspettata che preoccupa ancora di più circa il futuro dell’impresa, i cui operai sono entrati in sciopero – a
tempo indeterminato – la scorsa settimana lamentando tre mensilità di stipendio non pagate. Più di recente il nuovo cda aveva disposto il ritiro del piano di ristrutturazione del debito che avrebbe dovuto garantire i creditori e assicurare la continuità aziendale. Anche i sindacati erano presenti, all’esterno della sede, insieme ai lavoratori: «Abbiamo piena fiducia nell’operato della magistratura», commenta Giovanni Pistorìo della Cgil.
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