Senza creatività e tolleranza, la città non è città

Un esodo di cervelli, primi della classe, persone creative, sta cambiando la società e l’economia in tutto il mondo. Richard Florida, docente alla Carnagie Mellon University, ha costruito una piccola industria di pubblicazioni e consulenze grazie alla sua ‘Teoria della classe creativa’ basata sulle tre ‘T’, Tecnologia, Talento e Tolleranza, i tre elementi che secondo lui oggi determinano il successo o il declino di intere aree geografiche. Nel suo ultimo libro, The Flight of the Creative Class (“L’esodo della classe creativa”, pubblicato da HarperBusiness) spiega perché il futuro economico di intere aree geografiche sia oggi condizionato dalle legioni di studenti, ricercatori e giovani artisti che sempre più spesso cambiano città, vengono attratti da università eccellenti, ambienti artistici di primordine, quartieri tolleranti dove i gay possono vivere in libertà. Florida analizza alcune tra le città più importanti del mondo, e spiega attraverso questa chiave di lettura le ragioni del loro successo. L’abbiamo intervistato.

Professor Florida, che cos’è la “classe creativa”?
“Comprende scienziati, tecnologi, imprenditori, ma anche musicisti, scrittori, designer, avvocati, educatori, esperti di finanza… E i lavoratori della conoscenza di cui parlava l’economista Peter Drucker. Messi tutti insieme, negli Stati Uniti fanno 40 milioni di lavoratori, almeno il doppio di quelli impegnati nella manifattura. Nei paesi avanzati sono 150 milioni di persone. La sfida del nostro tempo è aumentare il numero dei lavoratori creativi”.

E’ così importante, per il successo futuro di un paese, l’afflusso di studenti dall’estero?
“Gli Stati Uniti sono diventati il paese leader, nella prima meta del secolo scorso, non perché avevano le materie prime e un grande mercato. L’elemento fondamentale è stata l’apertura ai talenti che qui arrivavano da tutto il mondo. L’Europa, e l’Italia in particolare, sono state fonti inesauribili di persone creative. A trasformare gli Stati Uniti in una società così competitiva sono stati scienziati come Enrico Fermi e artisti come Enrico Caruso e Arturo Toscanini. O tedeschi come Albert Einstein. Oggi la nuova Ellis Island è l’università. I nuovi talenti nell’arte e nella scienza scelgono gli Usa grazie alla sua università e poi vogliono restare per le grandi opportunità che trovano”.

Ma le cose stanno cambiando…
“Alcuni paesi, il Canada, la Gran Bretagna, l’Australia, ma anche la Cina e l’India, hanno deciso di competere per attirare gli studenti migliori dall’estero e trattenere i propri aumentando i salari, creando ambienti favorevoli per vivere e fare ricerca. Chi riuscirà a conquistare questo flusso di talenti avrà un enorme vantaggio competitivo. Oggi negli Usa, nei settori più avanzati della ricerca, i ricercatori stranieri sono il 50 per cento della forza lavoro. In particolare nella computer science, i giovani Ph.D. stranieri sono il 65 per cento del totale”.

Gli Usa stanno diventando meno attraenti di ieri?
“Dopo l’11 settembre sono stati danneggiati da alcuni errori dell’amministrazione Bush. E’ stato dato un giro di vite all’immigrazione, sono aumentati i controlli per i visti e molti non vedono più gli Stati Uniti come il paese libero e aperto che era fino a ieri, ma come un paese conservatore, paralizzato da una guerra culturale interna. Così molti preferiscono guardare altrove”.

Siamo arrivati al punto di crisi?
“Probabilmente no, ma ci sono segnali negativi. D’altra parte è accaduto in passato anche ad altri paesi. L’Italia era una capitale mondiale della creatività. Anche Berlino e ovviamente Parigi lo sono state in passato. Ma quando una società si chiude, sorgono conflitti interni che vengono dominati da conservatori che talvolta hanno tendenze totalitarie. E quando le regole diventano rigide i più creativi se ne vanno. Oggi, per la prima volta nella storia moderna, i creativi hanno un’ampia facoltà di scelta a livello mondiale, e le città sono sempre più impegnate ad attirarli”.

Quali sono le citta piu creative in Europa?
“Londra è sempre più il punto di attrazione per i migliori ricercatori e gli artisti più creativi, anche quelli americani. Poi c’è Amsterdam, che ha un terzo della popolazione composta da immigrati. E Dublino, protagonista nel settore tecnologico e nella creatività culturale: basta pensare agli U2. Nell’Europa continentale stanno crescendo molto le città del Nord. Stoccolma, Copenaghen, Helsinki hanno lanciato iniziative molto aggressive per attirare energie creative. E anche alcune città spagnole, come Barcellona e Madrid, vanno inserite in questo elenco. La nuova leadership spagnola sta aprendo il paese, ha dato nuovi diritti ai gay e alle lesbiche”.

Thomas Friedman dice che il mondo sta diventando ‘piatto’, con i cervelli e i capitali che emigrano senza barriere.
“Non credo che il termine ‘piatto’ sia quello giusto per descrivere l’economia mondiale, che secondo me è invece punteggiata da molti centri sempre più competitivi che attirano la gente più creativa. Purtroppo molte città non sono in grado di partecipare alla grande gara. Il rischio è che le energie creative finiscano per concentrarsi in pochissime aree, e non credo che sia una buona cosa. Gli amministratori pubblici dovrebbero fare in modo che il maggior numero possibile di città e regioni possano beneficiare dei vantaggi della nuova società che sta nascendo”.

E l’Italia?
“L’Italia ha grandi tradizioni in scienza e tecnologia. E ovviamente continua a produrre grandi intellettuali e persone creative. Ma ha due debolezze. Primo: non riesce a staccarsi dall’eredità della vecchia cultura industriale, è burocratica e poco flessibile. L’altra grande debolezza è rappresentata dall’università italiana che non è più ai vertici internazionali. L’obiettivo che l’Italia si deve dare, nei prossimi dieci anni, è riportare l’università alla frontiera internazionale, specie nei settori tecnologici. Se non riesce a farlo non tornerà competitiva. Le università sono isole elitarie, sono magneti che attraggono talenti. è un imperativo categorico: per avere un’economia creativa l’Italia deve creare università del calibro di Stanford, Mit o Carnegie Mellon”.

Molti pensano che anche la Cina possa presto diventare un polo di attrazione per i giovani talenti.
“Non lo credo possibile. Certo, la Cina può riuscire a trattenere molti dei suoi ricercatori più brillanti. Ma non essendo un’economia aperta non potrà diventare un magnete per i talenti del resto del mondo. La vera minaccia per gli Stati Uniti proviene dall’effetto cumulativo da parte di paesi come Canada, Australia, Svezia e Olanda che sempre più attraggono talenti da tutto il mondo. Se poi, contemporaneamente, anche India e Cina riusciranno a trattenere una quota sempre maggiore dei loro studenti migliori, allora questo creerebbe una mancanza di talenti negli Usa e in Europa. Perché una cosa è certa: oggi, nella tecnologia, dipendiamo dalla creatività degli indiani e dei cinesi”.

Lei sostiene che l’eredità più importante degli anni Sessanta non è Woodstock, ma la Silicon Valley. Perché?
“I movimenti degli anni Sessanta e la nascita della Silicon Valley sono stati il rantolo della morte dell’era industriale. James Dean e Andy Grove hanno la stessa origine. Mentre alcuni creativi fondavano nuove aziende innovative, altri creavano bande rock. I tecnologi costruivano la Silicon Valley proprio mentre Jimi Hendrix e Santana lanciavano Woodstock. Gli uni e gli altri erano analogamente frustrati dalla produzione di massa e dal mondo industriale fordista”.
 
Le città creative di cui lei parla, negli Stati Uniti, coincidono con le aree democratiche: New York, Boston, San Francisco.
“Le città creative sono piene di talenti, producono innovazione e tendono a essere aperte, tolleranti e progressiste. In queste città convergono bianchi e neri, ispanici e asiatici, uomini e donne, gay e eterosessuali. Ma tutto questo produce un contraccolpo culturale in altre aree. Gli abitanti degli Stati del Midwest americano vedono gli impianti industriali che chiudono, le persone più professionalizzate che emigrano e molti gay e donne che lavorano in settori ad alta professionalità. Si sentono perduti e temono di non avere futuro. Nascono così nuove forme di reazione culturale: la gente vuole tornare alla vecchia America, ai vecchi valori familiari. I neoconservatori hanno usato queste ansie a loro vantaggio. Quello in corso non è solo un conflitto politico-culturale, ma una vera guerra di classe. Il fallimento dell’economia mondiale oggi è il fallimento della sinistra a cimentarsi con la più importante trasformazione degli ultimi 500 anni: la nascita dell’economia creativa”.

La sinistra non ha capito quello che sta accadendo?
“La sinistra conosce a fondo le vecchie strutture dell’era industriale e le politiche sociali multiculturali degli anni ’60, ma ha trascurato quello che è accaduto dopo. Oggi registriamo un’onda reazionaria all’economia creativa, che la destra vuole fermare esaltando i vecchi valori familiari. La sinistra deve fare quello che fece fino alla metà del ‘900, quando riuscì ad allargare la partecipazione alla società industriale. Se vuole continuare a esistere, la sinistra deve far sì che un numero crescente di persone possa trarre benefici dalla economia creativa”.

Come stanno cambiando le città nell’era della globalizzazione?
“Stanno diventando le principali unità economiche e sociali mondiali. Ma non tutte le città sono destinate ad avere successo. Ora sta accadendo alle città quello che ieri è successo a grandi aziende come Chrisler e Volkswagen, Siemens e General Electric, che hanno dovuto trasformarsi da aziende nazionali in competitori globali”.

Per avere successo, cosa occorre dunque?
“Primo: occorre estendere i benefici dell’era creativa al maggior numero possibile di persone. Secondo: la sinistra deve trovare una strategia per affrontare i problemi di questa società nascente. Terzo: abbiamo bisogno di nuove strutture internazionali di governo che consentano ai leader delle città di organizzarsi su una scala globale”.

(da “L’Espresso” del 22/12/2005)


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