Sea Watch, anche Mediterranea torna in missione Casarini: «Non vogliono testimoni nei nostri mari»

«Prestissimo torneremo in mare con una nave battente bandiera italiana. Credo che questa sia la migliore risposta a questo clima d’odio, di criminalizzazione, di chi ha fatto una guerra contro chi salva le persone». Non le manda certo a dire Luca Casarini, capo missione di Mediterranea, dopo l’arresto di Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3 finita ai domiciliari dopo essere entrata nel porto di Lampedusa nonostante il blocco della guardia di finanza. Le accuse per lei sono gravi: resistenza e violenza contro nave da guerra che prevede una pena dai 3 ai 10 anni di reclusione. Un braccio di ferro tra lo stato italiano e l’imbarcazione olandese che ha scatenato da un lato l’ira del ministro dell’Interno Matteo Salvini e dall’altro manifestazioni e messaggi di solidarietà rivolti alla appena 31enne capitana.

«È incredibile che siamo arrivati a questo punto – ha proseguito Casarini a bordo della Rainbow Warrior di Greenpeace, ancorata al molo del porto – per noi chi fa affogare le persone, chi le fa marcire in prigione e che costringe i loro bambini a vedere le proprie mamme stuprate è un criminale». Secondo il capo missione di Mediterranea, proprio con la battaglia ai salvataggi in mare si vuole fare la guerra all’idea stessa di democrazia, e «per questo continueremo ad andare in mare proprio lì dove non ci vogliono». Le testimonianze, il monitoraggio sarebbero il nodo fondamentale al centro del tentativo di criminalizzazione in corso: «Loro non vogliono testimoni di fronte a una tragedia che si sta compiendo, eppure sanno tutto». 

Da gennaio, in base alle stime fornite da Casalini, sono oltre 1500 le vittime nel mar Mediterraneo: «Torneremo in mare nonostante la criminalizzazione – ha ribadito – perché pensiamo che questa sia una battaglia che si deve fare. Già un’altra volta nella storia ci siamo girati dall’altra parte ed è successo uno sterminio». A prendere la parola è anche Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. «Vogliamo essere qui per dare un messaggio – ha subito chiarito – Greenpeace è nata sul mare e molto delle nostre azioni si svolgono a mare. E tutti i comandanti hanno un primo comandamento assoluto: se ci sono vite in pericolo si salvano, un principio a cui non si può derogare mai. Non entriamo nel merito se la norma italiana sia corretta o meno, ma non è possibile assistere a un tentativo di criminalizzazione di chi fa il proprio dovere e, quindi, Carola ha tutto la nostra solidarietà».

Molto più duro, invece, il sindaco di Palermo che promette una battaglia legale nei confronti del ministro Salvini, verso il quale non mai nascosto la propria insofferenza, ad onor del vero sempre ricambiata. «La legge di Salvini non tiene conto della sicurezza degli esseri umani – ha esordito il primo cittadino – Temo che siamo in presenza di uno stato di necessità creato ad arte dal ministro degli Interni, perché non aver consentito l’approdo alla Sea Watch 3, ha posto la comandante di fronte a un dovere che è anche uno stato di necessità. Il processo servirà a chiarire proprio questo e io avanzerò un formale atto di denuncia nei confronti di chi ha creato questo stato di necessità». Il primo cittadino ha poi rincarato la dose: «Il sospetto è che si tratti di un accanimento illecito e illegittimo perché, contemporaneamente, a Lampedusa i flussi migratori non si sono mai fermati. Non possiamo sopportare la vergogna di questo governo» ha concluso. 


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