Una nuova versione di Romeo e Giulietta è di scena a Catania. Unopera genuina e divertente realizzata dai ragazzi del GAPA, associazione che da più di ventanni opera nel difficile quartiere di San Cristoforo. In attesa della prossima replica del 9 gennaio alle 21, Step1 ha intervistato il regista di Io + te = amore
Se Shakespeare fosse nato a San Cristoforo
Innumerevoli sono i rifacimenti di Romeo e Giulietta e in ogni possibile forma artistica: ci sono quelli teatrali, cinematografici, musicali, e poi quelli con ambientazione moderna, per ragazzi, sotto forma di cartone o fumetto e persino di videogioco. Adesso, della tragedia, tra le più famose di William Shakespeare, esiste anche una versione catanese. È quella realizzata dai ragazzi del GAPA – Giovani Assolutamente Per Agire – l’associazione di volontariato che opera da più di vent’anni nel difficile quartiere di San Cristoforo.
S’intitola Io + te = amore ed è il frutto di una delle tante attività organizzate dal GAPA per i bambini della zona: il laboratorio teatrale guidato da Orazio Condorelli, regista teatrale, attore e volontario dell’associazione. È un’opera ben fatta e divertente, che ha già raccolto molti consensi durante la prima del 19 dicembre e i due spettacoli del 26 dicembre. Nell’attesa della prossima replica, che sarà il 9 gennaio alle 21 nella sede del GAPA di Via Cordai, Step1 ha intervistato il regista.
Come è nata l’idea e il testo dello spettacolo?
È nato tutto dal percorso laboratoriale che ho fatto con i ragazzi: abbiamo iniziato con un vero e proprio training attoriale, poi abbiamo letto il testo e lo abbiamo commentato, partendo dall’idea che un classico possa parlare ancora oggi. Un’idea non originale ma sempre vera, perché un classico è un territorio continuamente vergine. Mentre lavoravamo, abbiamo deciso di utilizzare una grammatica che ci consentiva di aprire continue finestre sul canovaccio di Romeo e Giulietta e all’interno abbiamo messo una serie di improvvisazioni che ci servivano per dire quello che avevamo voglia di dire.
Non solo il testo è frutto di un lavoro collettivo, ma sembra lo sia anche la messa in scena. I ragazzi sono sempre contemporaneamente presenti sul palco e sono tutti protagonisti.
Sì, anche la recitazione è collettiva. Non c’è una Giulietta e un Romeo, ma tutti interpretano Romeo e tutti sono Giulietta. L’idea è proprio quella della coralità e della partecipazione collettiva alla rappresentazione.
Abbiamo letto la storia e visto lo spettacolo come una sorta di ribellione nei confronti di un ordinamento sociale, ma soprattutto di un quartiere in cui tutto sembra già stabilito. La rivoluzione sta proprio in questo: dei ragazzi decidono volontariamente, con tenacia e con la voglia di fare, di stare qui, di credere in quello che fanno e farlo bene.
Questa ribellione è evidente nei momenti di “meta-teatro”, in cui i ragazzi escono dai personaggi e commentano le loro azioni di attori, e nel finale della rappresentazione: è come se dicessero che la storia del quartiere possono riscriverla loro?
Sì, è proprio questo il senso. Possono farlo con la loro energia e la loro determinazione.
La vostra si può definire un’opera di teatro popolare, una versione di Romeo e Giulietta locale. Anche in scena viene detto che di questo classico sono state realizzate “una carrettata di” – molte – versioni e voi aggiungete quella catanese. Quanto c’è in essa del quartiere San Cristoforo?
Moltissimo, perché nasce dalle impressioni e dagli aneddoti della vita di questi ragazzi, dalle loro esperienze, che sono state considerate come il motore della loro creatività e del loro talento.
Si può dire che i ragazzi si muovono all’interno della cultura alta senza rinnegare le loro origini, ma anzi facendone un tutt’uno?
Certo, è proprio questo quello che fa il teatro popolare: mescola cultura alta con quella bassa, fa incontrare la canzone neomelodica con i Nirvana e la musica di Wagner.
Un mix che caratterizza anche il linguaggio.
Sì, è un misto tra il linguaggio nobile di Shakespeare e quello utilizzato tutti i giorni dai ragazzi, con i loro modi di dire, le loro cadenze.
E i costumi? Sulla scena tutti indossano gli occhiali da sole: è una presa in giro di un’abitudine molto italiana?
Sì, ai ragazzi ho detto “cercate di essere più trash possibili” e loro hanno obbedito.
Lo spettacolo è andato in scena già tre volte e verrà replicato il 9 gennaio alle 21. I proventi del biglietto, che costa sette euro per gli adulti e cinque per i bambini, saranno utilizzati dal GAPA per portare avanti la ristrutturazione della sede dove i giovani del quartiere fanno laboratori, doposcuola e attività di vario genere. Finora com’è andata?
Molto bene. È il risultato di uno studio lungo, iniziato questa estate. Abbiamo lavorato molto e mi preme sottolineare che il teatro sociale in sé ai ragazzi del GAPA non interessa, ci interessa fare teatro. Se si fa bene e fino in fondo, il teatro poi diventa anche sociale.
L’esperienza sarà ripetuta?
Sì, quello teatrale è un laboratorio permanente. Abbiamo pensato a quest’opera come a un primo studio su Romeo e Giulietta e vorremmo appunto ripeterlo cercando di contaminare e contagiare altri ragazzi e, soprattutto, aprirci non soltanto al quartiere, ma anche alla città.
San Cristoforo, checché se ne dica, fa parte del cuore della città e nello spettacolo c’è molto del catanese tipico. C’è la cultura dialettale, tradizionale, anche perché in questo quartiere c’è ancora molto che sa di antico.
Qual è la cosa che l’ha colpita di più durante questa esperienza con i giovani di questo quartiere?
La loro incredibile curiosità e la turbolenza della loro età, che ti trascina e coinvolge, e soprattutto ti fa comprendere che questa energia, se viene canalizzata verso qualcosa di creativo, cambia le vite di questi ragazzi, del quartiere e anche la mia.