Donne, media e potere. Al Festival del giornalismo di Perugia la prima tavola analizza la questione femminile partendo dal punto di vista di donne a metà tra il 68 e il velinismo
Se il burqa è uguale alla minigonna
«La mia generazione si trova in una situazione di transito in cui deve restituire ciò che ha avuto in dono dalle nostre nonne e dalle nostre madri». Il quadro che il direttore de L’Unità Concita De Gregorio dipinge rappresenta una generazione di passaggio, tra le lotte sessantottine e il popolo delle veline con l’ossessione del book fotografico. «Abbiamo il dovere di porre questo problema come prioritario. Se non ci sarà una reazione, anche rabbiosa, delle generazioni successive alla nostra sarà difficile risolvere il problema».
Il problema è ancora più spinoso quando si parla di ricerca di lavoro: «La tendenza è sperare nel colpo di fortuna che – nel caso delle donne – ha a che fare con gambe e bell’aspetto» commenta la De Gregorio.
Joumana Haddad è una giornalista e scrittrice libanese e fa notare come, ad eccezione di Emilio Carelli (direttore di Sky news Italia e moderatore dell’incontro) manchi alla discussione un parere maschile: «gli uomini dovrebbero essere qui con noi a discutere del problema».
Il ruolo della Haddad è di vera e propria mediatrice in quanto riesce a vedere, grazie al suo lavoro, le differenze tra il Libano – paese considerato tra i più occidentali dell’oriente – e la nostra società.
«Non c’è molta differenza tra il nascondere un corpo con il burqa e la sua esibizione come un pezzo di carne in vetrina». Alla stessa maniera «la complicità di una madre con la figlia che si sposa a 14 anni non è diversa da quella di una madre che accompagna la figlia a fare il book fotografico». Lo spirito è però combattivo: «In Libano abbiamo solo due ministri donna su 30 e vorrebbero concedere il 20% di quota rosa, ma io penso sia un insulto, un contentino». Nonostante questo «la rabbia non deve portarci a lamentarci ma a combattere. In Libano la donna si accontenta di piccole cose che la distraggono dai veri problemi». Poi la giornalista chiede alle colleghe italiane: «Cos’è successo alle donne dagli anni ’60-’70 in poi?».
Secondo Alessandra Arachi, giornalista del Corriere della sera, il problema riguarda l’intera società e non solo la sua parte femminile: «la retrocessione dei diritti c’è stata sia per le donne che per gli uomini». Le fa eco la De Gregorio: «si deve educare alla responsabilità. Il principio di responsabilità esiste perché c’è un prima e un dopo, una causa e un effetto. Con l’ossessione dell’oggi, del presente per sempre, viene tutto meno».
Specchio dei tempi è l’ossessione per la bellezza che ha radici profonde: «nella questione dell’uso del corpo della donna c’è un rapporto tra etica ed estetica». Le rughe, il passare del tempo, non vengono più viste come segni di nobiltà ma come prove di colpevolezza da cancellare per vivere l’eterno presente. «Anna Magnani diceva: “non mi truccate che c’ho messo tutta la vita a farmi questa faccia”, una cosa impensabile oggi».
La Haddad è chiara: «la femminilità è una forza». Forse per continuare il percorso iniziato da suffragette e contestatrici basterebbe prenderne definitivamente coscienza.