Se cessa il vento, non calma la bufera

Oggi, 25 Aprile, si celebra il 64° anniversario della liberazione dell’Italia dall’oppressione delle forze nazifasciste, avvenuta anche grazie alla rivolta armata popolare dei partigiani impegnati nella Resistenza. Sempre più spesso alla storia della Resistenza italiana, dei partigiani e del 25 Aprile è associato il concetto di “memoria condivisa”, come se, oggi più che mai, s’imponga la necessità di una memoria comune anche tra soggetti culturalmente e politicamente divergenti. Memorie legate ad esperienze antagoniste, a punti di vista personali e di gruppo totalmente differenti, possono davvero conciliarsi? Ne abbiamo parlato con il prof. Salvatore Lupo, docente di Storia Contemporanea all’Università di Palermo.

Riguardando alle vicende storiche della Resistenza, non è possibile che gli italiani condividano una memoria comune” ci spiega Lupo. “Perché mai la memoria dovrebbe essere condivisa? Non può esserlo. La memoria della Resistenza è di parte. Chi conserva la memoria dell’antifascismo si trova necessariamente su una posizione diversa rispetto a chi conserva quella fascista: di base ci stanno esperienze diverse ed ideologie opposte. La memoria riproduce l’attualizzazione di quello che successe sessant’anni fa e ripropone le passioni del passato. E, in questo particolare avvenimento passato, gli italiani si sono scannati.

Escludendo dunque la possibilità che le vicende del 1943-45 possano aver dato luogo ad una memoria “bipartisan”, Lupo tuttavia aggiunge: “L’idea che la memoria debba restare sempre viva è un’idea irrealistica. La memoria si stempera, e col tempo sbiadisce. Al suo posto rimangono i valori civili sedimentati dal passato. I valori civili possono accomunare, la memoria invece divide. Non può essere altrimenti. Ed è giusto così”. 

Quindi l’idea di “memoria condivisa” non sarebbe altro che un tentativo di “far pace” tra vincitori e vinti annullando le differenze, negando che tra i due schieramenti ce ne fosse uno che combatteva per i diritti civili e per la democrazia e un altro che invece sosteneva i regimi totalitari e la soppressione dei diritti.

La resistenza, la guerra mondiale e la guerra civile si sono concluse oltre sessant’anni fa e le attualizzazioni del passato sono sempre piuttosto pericolose. Bisogna partire dalla verità delle cose, non da una specie di memoria pacificata: tentando di dimenticare che nel passato è esistito un disaccordo compieremmo un’operazione di mistificazione.

Più che dell’auspicio di una memoria condivisa si tratterebbe allora di ricercare in questa memoria elementi di unità nazionale, storica, ma anche politica. Infatti, secondo Lupo “la liberazione istituì, per la prima volta in Italia, un sistema democratico moderno che riconosce i diritti dei cittadini, la funzione sociale della Repubblica e che garantisce i diritti delle minoranze. Ovviamente ciò fu possibile non senza caratteri molto dolorosi e centinaia di migliaia di caduti. Il contributo che la Resistenza diede alla poi avvenuta liberazione dai regimi totalitari in Italia non fu prevalentemente militare, ma nasceva dalla volontà di combattere per partecipare a quella che a quel tempo chiamavano ‘rinascita’. E’ indicativa la capacità di forze politiche diverse (quelle riunite nel CNL) di trovare una concordia, difficilissima e con grandi sbavature, ma pur sempre una concordia in una fase turbinosa, per raggiungere l’obbiettivo comune”.

Spostandoci al presente, è inevitabile un riferimento alle recenti dichiarazioni del Presidente Berlusconi, riguardanti la sua partecipazione, per la prima volta, alle manifestazioni del 25 Aprile in onore della Resistenza.

Qualcuno ha detto: meglio tardi che mai! Al di là di tutte le prese di posizione sull’argomento, credo che sia giusto e legittimo che il Presidente del Consiglio vada a partecipare alle celebrazioni in onore della Resistenza. Ma dev’essere in buona fede: non deve tirare la pietra e poi nascondere la mano. In tal caso si tratterebbe dell’ennesima provocazione. Se, incarnando improvvisamente un’etica pubblica condivisa e condivisibile da tutte le parti politiche, egli si facesse davvero promotore di una vera parola di disintossicazione, sarebbe davvero da apprezzare. Stiamo a vedere…”.


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