L'ex re dei supermercati potrà riavere per intero il suo patrimonio. A stabilirlo sono stati i giudici ermellini. «Sono certo che quando si proverà la sua non pericolosità cadrà anche l'altro provvedimento», commenta l'avvocato etneo Giovanni Grasso, che lo difende insieme a Franco Coppi
Scuto, Cassazione annulla la confisca dei beni Resta però l’obbligo di dimora a S.G la Punta
C’è ancora una volta la Cassazione nel destino di Sebastiano Scuto. L’ex re dei supermercati ha ottenuto l’annullamento, senza rinvio, del decreto della corte d’Appello di Catania che aveva disposto la confisca, per intero, del suo patrimonio. Un vero e proprio impero da centinaia di milioni di euro costruito negli anni sotto l’insegna Aligrup, colosso, ormai caduto in disgrazia, della grande distribuzione alimentare. Il provvedimento dei giudici etnei riguardava anche proprietà e conti intestati ai familiari dell’uomo. Rigettato il ricorso della misura dell’obbligo di soggiorno per tre anni a San Giovanni La Punta, paese natale di Scuto. «Sono certo che quando si proverà la sua non pericolosità cadrà anche questo provvedimento», commenta l’avvocato Giovanni Grasso
Lo storico legale dell’imprenditore ormai da qualche anno è affiancata anche all’avvocato Franco Coppi. Principe del foro ed ex legale di Giulio Andreotti e, recentemente, di Silvio Berlusconi nel processo Ruby bis. «Sono soddisfatto del risultato ottenuto – afferma Grasso – che riconosce la piena legittimità del patrimonio e dei suoi familiari, annullando l’anomala decisione della corte d’Appello». A gennaio 2017 Scuto è rimasto invischiato, insieme alla moglie, al figlio e al cognato, in un’inchiesta della guardia di finanza riguardante proprio il crac Aligrup. Gestita per anni dagli amministratori giudiziari che, secondo l’accusa, non avrebbero fatto gli interessi dello Stato ma dell’ex proprietario.
Scuto per i magistrati avrebbe fatto le sue fortune grazie ai soldi del clan mafioso dei Laudani. Nel 2010 si conclude il processo di primo grado con la condanna a quattro anni e otto mesi e il sequestro del 15 per cento dell’azienda. Nel 2012 arriva la decisione dei giudici di secondo grado che inaspriscono il giudizio che sale a 12 anni. A sovvertire tutto ci pensa però la Cassazione che un anno dopo annulla con rinvio la sentenza. Inizia così un nuovo processo e nel 2015, sempre in Appello, c’è la nuova condanna a 8 anni. I giudici ermellini nel 2016 però non sono ancora convinti e annullano nuovamente tutto rimandando ogni decisione a una nuova corte.