«Il tema delle infrastrutture è fondamentale. A Roma devono capire che è finita l’epoca di trattare la Sicilia come il Nord Africa». Parole del presidente della Regione Renato Schifani a cui, concedendo tutto il beneficio del dubbio possibile, si vuole dare un significato per niente razzista o classista. Insomma, un modo per dire che Roma tratta […]
L’eterno scontro Regione-Anas e il paragone infelice col Nordafrica, che se la passa comunque meglio di noi
«Il tema delle infrastrutture è fondamentale. A Roma devono capire che è finita l’epoca di trattare la Sicilia come il Nord Africa». Parole del presidente della Regione Renato Schifani a cui, concedendo tutto il beneficio del dubbio possibile, si vuole dare un significato per niente razzista o classista. Insomma, un modo per dire che Roma tratta la Sicilia come se non facesse parte dell’Italia. Vero è pure che questi paragoni sorgono solo sull’Isola. Mai si è sentito un politico valdaostano dire che Roma tratta la Vallée come se fosse la Francia o un trentino lamentare un trattamento da austriaco.
In ogni caso, quello di Schifani è stato uno sfogo sull’indecenza in cui versa l’autostrada A19 che collega le due città più grandi della Sicilia, con l’eterno scontro-incontro tra governo regionale e Anas. Con il governo Crocetta si pensava a una fusione tra il Cas e l’Azienda nazionale autonoma delle strade. Poi c’è stato qualche ripensamento dopo i crolli sulla A19 (la Palermo-Catania) e sulla Palermo-Agrigento, per passare al governo Musumeci, che a maggio 2018 torna a pensare alla fusione, con tanto di tavolo tecnico e foto di rito, salvo poi, a dicembre dello stesso anno, dare del «cancro» tanto ad Anas quanto a Rfi. Adesso, la palla è passata a Schifani che, come anche il suo predecessore, aveva auspicato cantieri aperti giorno e notte per accelerare i tempi. Alla luce della poco ponderata esternazione del presidente riguardo al Nordafrica e della situazione più che intricata delle assi viarie siciliane, la risposta che verrebbe da dare è «magari».
Magari perché, giusto per fare qualche esempio, il Marocco gestisce una rete di circa duemila chilometri di autostrade, molte delle quali in continua espansione e comunque per la maggior parte di costruzione più o meno recente. Stessa cosa la Tunisia, che ha esteso nel 2017 la sua rete verso Sud con il tratto tra Gabes e Sfax, realizzato dall’azienda italiana Salini Impregilo e il mese scorso ha inaugurato la sua A1, autostrada da 560 e rotti chilometri che da Tunisi porta a Ben Gardane, mentre dovrebbe essere in dirittura d’arrivo il completamento della A2. L’Algeria ha sfruttato i buoni rapporti con la Cina per investire in infrastrutture. Molte di queste strade, oltretutto, fanno parte del progetto della Transmagrebina, la grande autostrada in fase di lavorazione che toccherà tutti i Paesi del Nordafrica per un totale di circa nove miliardi di euro di investimento.
E persino la martoriata Libia, che ha da anni vantato una rete di autostrade di primo piano – che hanno dovuto cedere il passo solo per le inevitabili ferite della guerra civile – sta puntando al suo rilancio con le autostrade, con il faraonico progetto della grande strada costiera Ras Ejdyer-Emsaad. Un progetto da 1750 chilometri che dal confine libico con la Tunisia dovrebbe portare in Egitto, sui cui lavori però c’è un po’ di apprensione: un po’ per la delicata situazione politica nel Paese nordafriacano, un po’ perché l’appalto è stato affidato all’Anas. E chissà se a Tripoli si lamenteranno di essere trattati da Roma come se fossero siciliani.