Sbrogliando i fili de “La Matassa”

Da venerdì è nelle principali sale d’Italia La Matassa, l’atteso film del trio composto da Ficarra e Picone e il regista Giambattista Avellino, già co-artefice del successo de“Il 7 e l’8”.

Straordinaria protagonista del film è la location sicula. Parecchie vie di Catania (piazza Borgo,Via Etnea, Ognina, via Sangiuliano, piazza Nettuno, Piazza Trento, villa Cerami, piazza Dante), un cameo della splendida Ragusa – dove è stato girato il salto di Picone (o meglio della sua controfigura) in bungee jumping dal ponte Giovanni XXIII – ma a dominare la scena è la ridente cittadina di Paternò.

Il titolo è subito spiegato nell’incipit del film dalla voce narrante in campo di Pino Caruso che interpreta il paciere tra le due famiglie, di nome (è un prete) e di fatto (sarà spesso il tramite fra i due). “Quando si litiga ognuno crede di avere ragione e si imbrogliano i fili delle matasse. Ogni famiglia ha le proprie, così come quella di Gaetano e Paolo: la matassa Geraci”.

Gaetano (Ficarra) e Paolo (Picone) sono per l’appunto due cugini, cresciuti come fratelli, ereditieri di un albergo conteso tra i due rispettivi genitori, ma soprattutto di una lite ventennale che ha portato le due famiglie ad allontanarsi per anni. L’occasione dell’incontro avviene per via del primo di una serie di equivoci che porta Gaetano ad entrare trionfante nella chiesa in cui si stanno svolgendo i funerali dello zio (padre di Paolo), anziché nella chiesetta dirimpetto dove avrebbe dovuto fare da testimone per uno dei matrimoni da lui combinati. Gaetano infatti gestisce una stramba agenzia matrimoniale che vende il sogno della cittadinanza alle giovani straniere attraverso il fatidico sì. Il candidato ideale? Anziano, benestante e molto malato! Paolo invece è il cugino perbene, che agisce in buona fede ma malato di ipocondria, con tanto di pseudo-psicanalista e che dorme sul divano, perché ritiene il letto pericolosissimo per via del 70% delle morti che ivi occorrono.

Dal contrasto di questi due caratteri emerge la loro comicità classica, che riesce a rendere piacevole e leggero il film, pur trattando argomenti scottanti come il pizzo e la mafia. Spiritosi ed espressivi i protagonisti, soprattutto Valentino che – ricordiamo – non nasce attore, ma pur sempre legati al ruolo di Ficarra&Picone. Gli stessi Ficarra e Picone di “Nati stanchi” e de “Il 7 e l’8”: il primo prepotente e malandrino, remissivo e vittima l’altro. I loro personaggi non si sono evoluti, ma gli attori sì. Un elogio alla regia, che predilige scene in macchina da presa diretta, sebbene ne risultino a volte dei piani tanto dinamici da far venire le vertigini allo spettatore.

Da sottolineare la predominanza di un valido cast prevalentemente siciliano: da Claudio Gioè, ormai conosciuto dal grande pubblico come ‘zio Totò’ (Riina, ndr), nonostante il capello biondo cenere e l’occhio azzurro a Mariella Lo Giudice, Turi Amore, Gino Astorina, il nostro Gaetano Pappalardo, e, con due ruoli maggiori, Domenico Centamore (caratterista che risulta però esageratamente grottesco nel film) e un simpatico Tuccio Musumeci. Infine, a portare una ventata di freschezza ed esotismo è l’avvenente Anna Safroncik (dall’ovattato mondo della soap opera) insieme ai bambini che interpretano verosimilmente Ficarra e Picone junior.

La storia si conclude prevedibilmente con un lieto fine, con il dispiegamento dei fili della matassa che porta i due cugini a ritornare ad essere i bambini felici e complici di una volta. Sarà un personaggio secondario e marginale come il ristoratore cinese a rivelare la vera natura dei cugini (“voi due siete uguali”) e una filastrocca fanciullesca a sciogliere i loro cuori e ricordi, soprattutto di Gaetano che tende a sentirsi più furbo. Un mazzo di carte sono il tramite col passato e come per magia si torna a quella felice estate del 1982…

Nota dolente per il volume troppo alto in certe scene dove la musica dovrebbe accompagnare le immagini, mentre risulta prevalente e anche fastidiosa, per quanto le composizioni musicali curate dal premio Donatello Paolo Buonvino siano apprezzabili e tematiche. Inoltre, certe caricature si rivelano troppo forzate o reiterate, come delle battute innaturali di Ficarra o lo stridulo risolino del mafioso estorsore fino alla caratterizzante sicilianità degli episodi che rischia di fare un flop dal tacco dello stivale in su.

[Video realizzato da Melania Mertoli]


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