Il 9 luglio di 74 anni fa gli Alleati sbarcavano in Sicilia. Giuseppe Giannola, nato nel 1917 a Palermo, era nel 1943 un aviere in servizio all’aeroporto di Biscari – Santo Pietro nei pressi Caltagirone. Con i suoi compagni venne impiegato nella difesa della zona dall’avanzata delle truppe americane, fino a venire catturato. La resistenza inefficace degli italiani male addestrati permise una facile avanzata agli Alleati attraverso l’isola. L’intento degli anglo-americani era di riuscire a prendere Messina il più velocemente possibile per tagliare la ritirata alla sesta armata italiana e al corpo tedesco. La difesa organizzata dai sopravvenuti rincalzi tedeschi riuscì a contenere l’avanzata inglese che arrivava da Catania e quella americana che proveniva da occidente, permettendo alle truppe tedesche e a una piccola parte di quelle italiane di ritirarsi sul continente.
Nei piani dell’operazione, la Sicilia occidentale, partendo dal punto di sbarco nel golfo di Gela, doveva essere isolata dall’armata al comando del celebre generale statunitense Patton, che poi avrebbe dovuto dirigersi verso Enna per tenere il fianco della principale avanzata inglese, che dalla zona tra Pachino e Siracusa muoveva verso nord. L‘aeroporto nei pressi di Caltagirone venne raggiunto dalle avanguardie corazzate americane di Patton la sera del 13 luglio, venendo accerchiato la mattina successiva. In quelle ore, l’aviere Giannola e i suoi commilitoni difesero la posizione, fino ad arrendersi sotto i pesanti bombardamenti statunitensi. Il 14 luglio i circa 80 italiani e meno di una decina di tedeschi, vennero divisi in due colonne e indirizzati alle retrovie dopo essere stati spogliati degli abiti: una colonna di circa una cinquantina di uomini, al comando del tenente Compton, venne fucilata subito dopo essersi arresa; riuscirono a scampare, dandosi alla fuga, solo due uomini. Poco dopo il secondo gruppo, sotto responsabilità del sergente West, venne fatto marciare per circa un chilometro e infine disposto su due file; il sergente americano in persona sparò con un fucile mitragliatore contro i 37 italiani e i due tedeschi presenti.
Giannola, ferito a un braccio, si nascose sotto i compagni caduti per due ore, aspettando che la squadra di otto uomini americani si fosse allontanata; ma appena alzata la testa, un colpo di fucile dalla distanza lo raggiunge alla tempia, facendolo cadere di nuovo svenuto. Di lì a poco Giannola, ferito sia al braccio che alla testa, raggiunse una linea di alberi, dove era presente una squadra della Croce Rossa americana che gli fornì le prime medicazioni, facendogli anche capire che di lì a poco sarebbe arrivata un’ambulanza che lo avrebbe portato in un ospedale. Ad arrivare fu nel frattempo una jeep, da cui due militari statunitensi, spararono l’ennesimo colpo di fucile contro Giannola, dopo averlo riconosciuto come italiano, perforandogli un polmone. L’italiano a questo punto venne finalmente raccolto dall’ambulanza e portato in ospedale, rimanendo prigioniero in Africa fino al 1944.
Questa non è solo la storia di un soldato fortunato, ma anche quella di un uomo che ha cercato per tutta la vita di ottenere giustizia per l’episodio conosciuto come Massacro di Biscari in cui persero la vita 12 civili e 76 militari, senza che fosse mai veramente riconosciuto un colpevole. Il tenente Compton e il sergente West vennero processati nel 1943 da una corte marziale americana: il sergente venne riconosciuto colpevole di aver ucciso militari ormai recanti lo status di prigionieri e condannato all’ergastolo; nel 1944 venne però liberato e reintegrato senza grado, venendo congedato alla fine della guerra. Il tenente Compton venne invece assolto. Morì nel 1943 durante la sanguinosa battaglia di Montecassino.
Entrambi i militari statunitensi si difesero dalle accuse asserendo di aver eseguito gli ordini che aveva diramato Patton. Il generale il 27 luglio, durante la preparazione delle operazioni di sbarco, aveva infatti dichiarato: «Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!». George Patton, interrogato in proposito, ammise di aver detto quella frase, ma solo con l’intento di caricare i suoi uomini, alcuni dei quali inesperti e alla prima operazione, negando quindi di aver incitato all’uccisione.
Giannola riuscì a denunciare l’accaduto solo nel 1945, al rientro in patria, e nel 1947 presentò un rapporto dettagliato all’Areonautica, ma rimase inascoltato. Trascorse gli anni successivi lavorando alle Poste e cercando di dare voce alla sua esperienza. Nel 2004 raccontò la sua versione al procuratore militare di Padova che nel frattempo aveva aperto un fascicolo a seguito della testimonianza di un altro sopravvissuto all’eccidio.
Guseppe Giannola è morto a Palermo nel dicembre 2016 a 99 ani, dopo essere stato insignito dell’onorificenza di ufficiale della Repubblica Italiana dall’allora presidente Napolitano nel 2009. Volontà dell’aviere Giannola era dare degna sepoltura ai suoi compagni. Nel 2012 è stata posta una lapide sul luogo del massacro recante i nomi dei caduti italiani e tedeschi.
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