Che il film diretto da Darren Lynn Bousman non sia all'altezza del film di cui è il sequel, è un fatto. Duole constatarlo per chi, forse ingenuamente, aveva delle aspettative positive- Un 2006 da cinema: il nostro Coming Soon!
Saw II – La deludente soluzione dell’enigma
Titolo originale: Saw II
Nazione: U.S.A.
Anno: 2005
Genere: Thriller
Durata: 107′
Regia: Darren Lynn Bousman
Sito ufficiale: www.saw2.com
Sito italiano: www.saw2.it
Cast: Tobin Bell, Lyriq Bent, Tim Burd, John Fallon, Franky G, Noam Jenkins, Erik Knudsen
Produzione: Mark Burg, Gregg Hoffman, Oren Koules
Per quanto distante dall’analisi del film diretto da Darren Lynn Bousman, in proiezione dal 5 gennaio, è inevitabile fare cenno ad un inverecondo plagio presente in uno degli spot d’apertura. Si tratta, francamente, di una di quelle cose che non possono non far male, destare scandalo, provocare la sollevazione di chiunque abbia una vaga idea di cosa sia la comunicazione pubblicitaria. Il cliente, Teamsport, probabilmente, non ne ha la minima responsabilità; che equivale ad affermare che non ha scientemente avallato una grossolana scopiazzatura. O, almeno, è quanto è lecito augurarsi. Di tutto cuore. Sarebbe interessante conoscere il punto di vista degli autori di “What women want”, se, naturalmente, fossero nella posizione di apprendere i particolari dell’attività di un’oscura agenzia pubblicitaria alle prese con campagne di modesto cabotaggio. Tuttavia, transeat.
Come in una singolare, e, sfortunatamente, piuttosto sgradevole dissolvenza incrociata, assistiamo, con la proiezione del film, ad un sinistro passaggio di consegne fra un pervasivo senso di nausea e un tedio sostanziale. Non sappiamo se esista una legge di Murphy a proposito dei sequel cinematografici, ma sarebbe fin troppo intuitivo postularne una formulazione.
“Ne scorrerà, di sangue…”: adeguato headline per un film che si direbbe scritto dal personale paramedico di un centro trasfusionale. Peccato. Il secondo capitolo di un soggetto destinato ad avere ulteriori sviluppi – in una direzione, speriamo, più anemica e avvincente – non può vantare la verve del primo. Ma è troppo banale da constatare. La verità è che le sole seghe che notiamo nella pellicola sono rappresentate dal cast. Un esempio può essere sufficiente. Il personaggio del portoricano pronto ad uccidere per salvarsi la pelle (espressione idiomatica quanto mai infelice, NdR)ha tutta l’aria di un wrestler male in arnese, e tanto basta a qualificare verso il basso ogni cosa.
Non ci sono figure positive in “Saw”. Non ce ne sono. E’ una consapevolezza greve quanto può esserlo la manifestazione di una paura infantile. I soli barbagli di luce sono quelli delle torce di una polizia incapace, impotente, tratta in inganno da un avversario che obbliga chiunque trovi sulla sua strada l’ “enigmista”, a specchiarsi nell’immagine della propria bassezza morale.
Lubrano direbbe che una domanda sorge spontanea. Ed è la seguente:
per quale ragione, particolarmente da alcuni anni in qua, riesce pressoché impossibile agli sceneggiatori di fantasy – come di thriller o SF-movies – scrivere, sul serio, la parola “fine”? Appostata come un vietcong, fa capolino la tentazione di prodursi in riflessioni, abbastanza ovvie, circa la fragilità dell’esistenza umana e il bisogno che abbiamo di non liquidare troppo velocemente il frutto, apprezzato o meno, del nostro ingegno. Misery non deve morire…