Era il 31 ottobre 2015 e a far crollare quel muro di cinta, alto quasi due metri e mezzo, è stato il maltempo. Una delle allerte di livello rosso, con pioggia e vento, nel quartiere di San Cristoforo si è trasformato in un danno da migliaia di euro per l’istituto comprensivo Caronda di via Acquicella. Che ha visto cadere, mattone dopo mattone, buona parte della parete che separava la scuola dalla strada. Da quel momento – oltre sei mesi fa – ci è voluto poco perché la situazione precipitasse: rubate la fotocopiatrice e la macchinetta del caffè, le telecamere di sorveglianza, le porte dei bagni dello stanzino attiguo alla palestra. L’ultima volta, lo scorso fine settimana, hanno provato a segare le sbarre di ferro che la scuola aveva fatto installare per proteggere quel poco che è rimasto. Non ci sono riusciti e hanno reagito con una bomboletta spray sul cortile: «Andatevene da questa scuola o morirete». «Chiaramente la scritta è uno scherzo, ma ormai non ne possiamo più», afferma Adriana Battaglia, reggente dell’istituto scolastico in cui lavora ormai da dieci anni.
Il ripristino del muro spetterebbe al Comune di Catania. Ma dalla fine di ottobre a oggi si sono susseguite solo promesse e sopralluoghi. La data di inizio dei lavori sarebbe dovuta arrivare entro sabato. Però anche quella scadenza è saltata e nel frattempo la Caronda resta aperta a chiunque ci voglia entrare dopo l’orario scolastico. «Poco tempo fa sono arrivati con una scala e hanno provato a entrare da una finestra nell’aula di informatica, tagliando la protezione di ferro – racconta Battaglia – Ma hanno sbagliato aula e non sono riusciti a finire il lavoro. La polizia li ha arrestati in flagranza, erano in due». In un’altra occasione hanno rubato cinque porte in allumino e adesso hanno danneggiato il vano motore del cancello automatico, per tentare di aprirlo manualmente. «Ma questo non sono ancora riusciti a farlo», dice la dirigente.
In mezzo ai furti, poi, ci sono anche episodi inquietanti, sui quali la scuola e le forze dell’ordine non sono riusciti a fare chiarezza. «Una mattina siamo arrivati e abbiamo trovato in un angolo del cortile una grossa pozza di sangue», spiega una docente. Sarà stata larga una cinquantina di centimetri e attorno c’erano tanti fazzoletti insanguinati. Mancavano, però, i segni di spostamenti ed era tutto concentrato in un’area. «Abbiamo pensato che potesse essere un cane ferito – dice – Ma non c’erano tracce da nessun’altra parte. Erano tutte concentrate in quel punto». Che avrebbe anche potuto essere ripreso dal sistema di videosorveglianza, se quest’ultimo non fosse stato manomesso e rubato poco tempo prima. «Di una cosa sono certa – sostiene Battaglia – Chi fa questo non è della zona. Vengono da fuori, un po’ per fare qualche soldo, un po’ ormai per sfregio».
La Caronda è aperta in un quartiere difficile. Pochi metri più in là c’è piazza Palestro e l’unico spazio per i giovani è l’oratorio di una chiesa poco distante. Che, però, fino a poco tempo fa il pomeriggio restava chiuso. «Noi ci prendiamo una responsabilità non da poco – afferma la preside – Lasciamo aperto il pomeriggio perché altrimenti i nostri ragazzi rimarrebbero a giocare per la strada. Facciamo il tempo pieno per aiutare le madri, giovanissime, che spesso sono sole e lavorano in nero. Ci ingegniamo in ogni maniera per mandare avanti i nostri progetti e i risultati si vedono». Per esempio nella partecipazione alle attività dell’orchestra Falcone-Borsellino, i cui giovani musicisti sono stati formati tutti in quelle aule. E poi «il bassissimo tasso di dispersione scolastica, a cui si aggiunge la soddisfazione più grande: in molti si iscrivono alle scuole superiori e si distinguono, sono eccellenze».
L’esperienza dell’istituto comprensivo Caronda, però, si chiuderà l’1 settembre 2016. «Abbiamo poco meno di 500 studenti dai tre ai 14 anni, ma non sono abbastanza». E arriverà l’accorpamento con l’istituto comprensivo Coppola di via Medaglie d’oro. «È vero, i nostri iscritti sono diminuiti – ammette la dirigente – Ma questi dati vanno letti nell’insieme. Abbiamo perso tre plessi: due erano in affitto – via Vittorio Emanuele e via Sardo -, mentre l’altro era in via Orfanelli e non c’erano le condizioni per farci una scuola». Il problema delle sedi, in una zona in cui le famiglie sono numerose e i figli ravvicinati, non è da sottovalutare: «Come fa una mamma, che lavora solo lei, ad accompagnare un bambino all’asilo da una parte e alle elementari dall’altra? Preferisce cambiare scuola. E la nostra esperienza didattica, così, si spegne. Ma San Cristoforo merita attenzioni. San Cristoforo sono i miei ragazzi, che ho visto crescere e a cui voglio bene, che suonano l’Inno alla gioia in un’orchestra antimafia».
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