San Berillo: l’aceto, il teatro e la speculazione Un viaggio notturno tra i vicoli pieni di altarini

A un certo punto l’odore di aceto è fortissimo e vince su tutti gli altri. Su quello di urina nei vicoli, su quello di pop-corn che ancora un po’ si sente, su quello di alcol di un gruppo di ragazzi che ti passano accanto e si fermano a vedere cosa stia succedendo. Lo spettacolo itinerante a San Berillo si muove tra le strade strette e i portoni delle case. La vita del quartiere si è fermata, ma solo un poco. «Sta cercando il teatro?», dice un anziano a una ragazza all’inizio di via Pistone, subito all’incrocio con via Ventimiglia. Nel frattempo si sente un boato: c’è Juventus-Real Madrid, hanno segnato gli spagnoli. «È là in fondo, dove c’è il velluto rosso». Poco oltre Palazzo de’ Gaetani, sede dell’associazione Trame di quartiere che promuove il theatour Specula speculorum, c’è un drappo che nasconde un letto. È una delle sette tappe che costituiscono la via Crucis dello sventramento. Per raccontarla ci sono voluti mesi di laboratori con i residenti della zona, un lungo lavoro di archivio e il coinvolgimento di tanti. «È narrazione collettiva», dice Maria Giovanna Italia prima che lo spettacolo inizi a svolgersi tra le viuzze pavimentate, i portoni murati adesso vivi di street art e tutti quegli altarini dedicati alla vergine Maria. «Che è una processione? Chi è morto?», domanda una donna che esce da un’apertura sulla strada. Lei non è parte dello spettacolo, è parte del quartiere. Ha il seno prosperoso, la biancheria intima s’intravede dalla gonna cortissima, brandisce uno smartphone col quale gesticola. Sullo sfondo del cellulare ha un’immagine della Madonna. «San Berillo? San Berillo mossi? – continua, ridendo – San Berillo ‘avi ca’ murìu».

Ci sono un sacco di cartelli che impongono il divieto di scattare fotografie. Le ragazze continuano a lavorare e non vogliono farsi vedere. Alcune si fermano a osservare gli attori che iniziano con le loro storie. Il venditore di pop-corn che la prima volta che ha messo piede a San Berillo lo ha fatto con una prostituta di Cosenza. «Alienante, è stato alienante», urla. Non come con le due donne sudamericane di cui s’è innamorato e di cui sente ancora il profumo. Poi c’è chi nel quartiere era bambino e se lo ricorda com’era una volta, negli anni Cinquanta, prima che arrivassero gli sgomberi, prima che cominciassero le espropriazioni. Prima che il piano della società Istica (Istituto immobiliare di Catania), benedetto dalla Democrazia cristiana, venisse inserito nel Piano regolatore generale della città, sancendo di fatto il cambiamento del volto del centro storico. Poco meno di trentamila persone dovranno essere spostate dal luogo in cui hanno sempre vissuto ed essere trasferite altrove: «Il desiderio che i catanesi avevano coltivato per cinquant’anni», ironizzano gli attori mentre percorrono via Giuseppe Maraffino. L’ariosa e luminosa collina di Nesima che diventa il posto dove gli ex affittuari potranno diventare proprietari: San Leone è San Berillo nuovo. «Per purificare il centro storico dal suo bubbone».

In Specula speculorum le storie si accavallano. L’anziana morta «non per il dispiacere, per la trepidazione!», il mago, la processione, le case di malaffare. E soprattutto: «Ma che ne sanno loro di San Berillo?». Chi si fa vedere adesso, coi tacchi che s’incastrano nel basolato rovinato, perché il quartiere un po’ si apre e bisogna esserci. Chi si lamenta che dovrebbero raderlo al suolo, buttarlo giù perché non c’è niente da salvare. Chi se la prende con la depravazione, perché una volta almeno erano le donne a fare la vita, adesso sono «quasi solo trans, e non c’è manco tanta scelta. A chi interessa, ovviamente. Non a me, certo». In via De Marco il racconto si mischia con il profumo di spezie che viene dal balcone al primo piano. Una ragazza di colore si affaccia a guardare. È incinta. Rimane fuori a osservare quella gente che riempie i vicoli. Al corteo iniziale si aggiungono tante persone, in corso d’opera. Alcuni anziani che passeggiano e San Berillo lo conoscono bene. Diversi giovani stranieri arrivano per caso, passando con i bicchieri di plastica pieni di qualche cocktail preso a poco nella vicina piazza Teatro Massimo, e si fermano a seguire la processione. Un faretto illumina l’interno dei palazzi crollati. 

È passata quasi un’ora quando si torna in via Pistone e al drappo rosso che nasconde il letto. «Se ti fossi girato un’altra volta – dice la prostituta (voce fuori campo) al cliente – Mi avresti vista ripulirmi con l’aceto, per uccidere quello che resta del tuo seme. È l’unica cosa veramente tua che hai, e la doni a una che lo ammazza». «Vero è», interviene la voce non prevista di una lavoratrice della strada, in pausa per permettere lo svolgimento dello spettacolo. Di lì a poco è il momento di Franchina, volto storico del rione. La si vede seduta di fronte alla sua porta perfino nelle immagini immortalate da Google Maps per realizzare la visione dalla strada. «Pubblico, pubblico. Sono qui per raccontarti una storia, forse la mia», chiama lei, emozionata con la gonna nera e rossa e le calze a rete. «Sono stata molte cose – dice – Sono stata puttana, sono stata amante». Le trema la voce, qualcuno si commuove. Parla sull’uscio di casa, di fronte a quel «gradino consumato» e spiega un’altra faccia della città. Lo spettacolo non è finito, la processione continua, il rischio di speculazione pure. Adesso, però, quello che succede a San Berillo qualcuno lo racconta. Anche attraverso l’arte. Il theatour è in replica stasera alle 21 e il 24 giugno alla stessa ora.


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