Dopo il cedimento di una palazzina ottocentesca in via Pistone, un'ampia porzione dello storico quartiere etneo è stata chiusa ai cittadini. Tra le proteste dei residenti e dei comitati degli abitanti. «È un rione a vocazione abitativa e tale deve restare», dice Luigi Prestinenza Puglisi, catanese e storico dell'Architettura
San Berillo, la riflessione dopo i palazzi crollati L’esperto: «Programmare il futuro come Ortigia»
«Io non sono uno che difende i posti a prescindere. In altri luoghi d’Italia direi: lasciamo che i palazzi cedano e recuperiamo quegli spazi per fare delle piazze. Ma San Berillo è diverso. San Berillo per storia ed evoluzioni sociali non può crollare». Luigi Prestinenza Puglisi, catanese, è uno dei più noti storici dell’Architettura d’Italia. La insegna all’università La Sapienza di Roma e ne scrive per la collana Italiarchitettura dell’Utet, la casa editrice delle note enciclopedie. Del crollo in via Pistone, avvenuto ieri, e di quello in via Carramba, notizia di due settimane fa, Prestinenza Puglisi viene a sapere per telefono. «Che brutta storia – dice – Il problema è questo, è difficile attivare procedure di restauro». Del resto, quello delle case vuote nei centri storici è un problema che lui conosce bene: «Me ne sono occupato spesso, è un tema grossissimo: io le chiamo le carie urbane».
«Le case costano, spesso la gente preferisce lasciarle andare piuttosto che curarsene, soprattutto quando non ci vive», spiega il critico. «Come capita con i denti, così anche gli edifici se non vengono curati si ammalano. Con i denti cariati cosa si fa? Si levano, si otturano oppure, se ci sono i soldi, si fa un impianto». Così dovrebbe accadere per le abitazioni sfitte nei centri storici. «Se non si capisce che si deve consolidare o non si trovano dei modi per intervenire sarà sempre peggio – sostiene Luigi Prestinenza Puglisi – In molti casi è complicato, perché ci vogliono tempo e denaro. Ma è un problema gravissimo che va affrontato». Come? Essenzialmente partendo dal modo di sfruttare le risorse. «Ci sono modi per puntellare le strutture mantenendole aperte al pubblico. In questo modo le botteghe ai piani bassi, per esempio, possono continuare a lavorare mentre si fa il consolidamento. Ma il fatto è che servono soldi e i Comuni devono decidere di investirli in questo. La vera necessità è una pianificazione delle strategie economiche delle città».
Una soluzione, per esempio, potrebbe essere «sfruttare l’emergenza». Se gli edifici crollano «è perché i proprietari non possono e non vogliono investire. E allora vendano, a prezzi irrisori». Non serve essere «estremisti» e chiedere l’«esproprio, per ragioni di pubblica sicurezza, dei palazzi lasciati cadere. Basta trovare delle formule meno rigide. Anche perché, parliamoci chiaramente: se il Comune espropria vuol dire che quella struttura rimane abbandonata per il resto della propria vita. Mi fido molto di più degli interessi dei privati». O delle associazioni: «Sarebbe bello darli a loro gli immobili, nella speranza che trovino il modo di mantenerli in termini economici». Perché la riqualificazione, secondo Prestinenza Puglisi, deve avvenire comunque partendo dalle persone: «San Berillo è un quartiere a vocazione abitativa, io farei in modo che torni a essere abitabile».
«È più semplice dire a una persona “Tieni, ti do 40mila euro di finanziamento a fondo perduto“. Tu metti il palazzo in sicurezza e fai questi quattro lavori che io ti prescrivo, ma quando hai fatto quel che è tuo rimane tuo. E tu ci puoi spendere altre due lire per le rifiniture e per metterlo sul mercato». In vendita. O anche in affitto. «A prezzi bassi, perché è un quartiere in cui i prezzi non possono essere alti. Cosa ottieni? Che si ripopola. Che vengono a viverci giovani, famiglie appena nate. Persone che non hanno grandi possibilità economiche per entrare nel mercato immobiliare ma vogliono una casa in cui abitare davvero». Un esempio di questo meccanismo sarebbe Ortigia: «Magari non ci si sarebbe scommesso, ma poi è diventato interessante per gli stessi proprietari». Per via degli immobili che sono stati rivalutati. Ma San Berillo quanto ci metterebbe a diventare come Ortigia? «Quindici anni. Serve pensare al futuro in maniera intelligente. E programmare guardando oltre domani».