Una nomina arrivata a sorpresa e sette giorni di tempo per prendere confidenza con l’assessorato. Tra una settimana, infatti, in Sicilia dovrebbero riaprire parchi archeologici, musei, biblioteche. Per Alberto Samonà – il primo leghista della storia a entrare nel governo regionale – la fase due dell’emergenza Covid-19 è iniziata in maniera ancora più esaltante. La strada che gli si para davanti però non è in discesa, tra le mille sfide di un settore che, nonostante la potenziale ricchezza, stenta ancora a decollare e le critiche sul proprio percorso politico. Passato e presente.
Assessore, la sua nomina è stata una vittoria in volata partendo dalle retrovie. Quando ha scoperto che sarebbe entrato in giunta?
«Avevo letto il mio nome in qualche articolo, ma non me lo aspettavo completamente. Poi ho ricevuto una telefonata da Stefano Candiani, subito da Matteo Salvini e infine mi ha telefonato Nello Musumeci. Io, comunque, non ho detto a nessuno che volevo fare l’assessore».
Nel giro di due anni è passato dalla mancata candidatura nel M5s all’essere il primo leghista al governo della Sicilia.
«Quella con il Movimento 5 stelle è un’esperienza chiusa da tempo. Avevo vinto le Parlamentarie, poi mi hanno escluso. Li ho diffidati per conoscere i motivi di quella decisione, ma non mi sono mai stati comunicati. Comunque non importa, è un percorso chiuso. All’epoca avevo creduto in quel progetto, e sono uno dei tanti che è rimasto deluso».
Il passaggio alla Lega forse è stato più semplice per un uomo di destra.
«Ho una storia di destra, ma la Lega è un grande partito popolare che difende l’identità degli italiani. Ci sono persone che vengono da destra, sinistra e centro. Trovo sia questa la sua spinta innovativa, non è un partito ideologico».
Insomma, senza andare troppo indietro nel tempo, la Lega verso della Sicilia qualche pregiudizio lo ha manifestato.
«Ma oggi non è un partito del Nord, ma un partito che difende le identità locali. Perché questo non dovrebbe poter valere per la Sicilia? Veniamo da una straordinaria tradizione autonomista e abbiamo uno statuto che ci invidia l’Italia intera. E poi sottolineo che la Lega in Sicilia non è fatta di veneti o lombardi, ma di siciliani».
Con la sua nomina, Musumeci ha fatto un passo verso il Carroccio e la federazione con Diventerà Bellissima?
«Non sono domande a cui posso rispondere io. Dovrebbe chiederlo al segretario regionale Stefano Candiani. Io devo pensare ai nostri beni culturali».
E allora parliamo di beni culturali: come si presenterà la Sicilia alla riapertura dei siti archeologici e dei musei?
«Il nostro obiettivo è quello di riaprire i nostri gioielli ai visitatori. Questa estate la Sicilia può diventare meta per tantissime persone provenienti da fuori l’isola. Dobbiamo riaprire in sicurezza e pensare a un rilancio che vada oltre i mesi estivi».
Il Covid-19 può essere il motivo per arrivare finalmente a estendere i biglietti elettronici a tutti i siti dell’isola?
«Si sta lavorando tanto in questa direzione. Con i ticket elettronici eviteremo le file alle biglietterie e gli assembramenti che possono derivarne. Ma ci sarà anche da lavorare in sinergia con gli altri assessorati, a partire da quello al Turismo per favorire la promozione delle nostre attrazioni, anche quelle meno conosciute all’estero, tramite i tour operator».
Quanto è pesante l’eredità lasciata da Sebastiano Tusa?
«Lui è stato un grande studioso, nessuno può pensare di eguagliarlo. Ciò che si può fare è proseguire sul solco che ha tracciato. A partire dal guardare all’identità e alla cultura siciliana come un grande messaggio cosmopolita. Per me identità in Sicilia vuol dire Fenici, Arabi, Normanni, Bizantini, Greci».
Un melting pot che avrebbe fatto a pugni con il sentire leghista. Qual è la sua posizione sulla questione flussi migratori?
«Ho molto rispetto per chi si trova nelle condizioni di dovere lasciare la propria terra. Ma da noi il problema non è lo straniero in quanto tale, ma chi li fa venire qui per sfruttarli. Chi organizza i flussi criminali. E comunque non è un tema che c’entra con i beni culturali».
Ieri Claudio Fava ha ricordato il suo passato da militante di destra. Quanto è davvero passato? Il 23 aprile ha condiviso un articolo di Marcello Veneziani dal titolo Perché non celebro il 25 aprile.
«Credo che in Italia si possa essere liberi di pensarla così. Per il resto non rinnego quella militanza, ma credo anche che le ideologie del Novecento vanno superate. Non in nome di un vuoto relativismo, ma con politiche concrete che si occupino dei problemi delle persone. Il fascismo è morto nel ’45, per il resto viene tirato in ballo da una certa sinistra che sarebbe meglio se iniziasse a offrire soluzioni ai problemi concreti».
Ma alla fine il 25 aprile va festeggiato o no?
«Io credo che i tempi siano maturi per costruire una memoria condivisa che riconosca anche a chi ha fatto un’esperienza dall’altra parte della barricata una dignità. La Repubblica di Salò? Nefandezze, ne sono state fatte da entrambe le parti».
Quando Facebook ha oscurato le pagine di Casapound e Forza Nuova non l’ha presa benissimo.
«Semplicemente ritengo che chiunque dovrebbe avere il diritto di manifestare la propria opinione finché si resta all’interno della Costituzione. Essere bannato da Facebook non mi pare una bella cosa».
Fava ha alluso anche a una sua vicinanza alla massoneria. È iscritto a qualche loggia?
«Non sono iscritto a nessuna loggia. Ho scritto un paio di articoli quindici anni fa, sono uno studioso e mi interesso di religione e spiritualità. Negli ultimi anni ho abbandonato il filone occidentale, per dedicarmi a quello orientale. Sopratutto il sufismo islamico e l’induismo. Niente che abbia a che fare con trame grigie e poteri occulti. In ogni caso mi consenta di dire che non si può criminalizzare chi ricerca o studia. Non mi piace il clima da caccia alle streghe».
Qual è la prima cosa che farà da assessore?
«Incontrerò Valeria Patrizia Li Vigni (la moglie di Tusa, ndr). L’ho sentita dopo la nomina, mi ha fatto gli auguri e si è messa a disposizione».
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