Rubrica/New York New York. Riprendiamoci l’America

Cari lettori, non viene affatto facile scrivere queste righe alla fine del 2011. Per chi si sforza di fare il proprio mestiere con onestà, la sincerità è il pilastro etico del proprio lavoro. Nel caso del giornalista non c’è spazio per compromessi, il rispetto della verità su tutto ciò che si scrive non è sindacabile. Scusate, ho scritto una sciocchezza! Volevo dire che non si può non scrivere sinceramente quello che si percepisce in quel momento essere il piú tendente alla verità.

Cosí anche nell’esprimere questa opinione, in questo che è l’ultimo “Visti da New York” del 2011, non posso nascondere uno stato d’animo preoccupato come non lo era mai stato prima, neanche all’indomani dell’11 settembre 2001, quando dall’immane tragedia che colpí New York, si sentí forte pulsare il cuore della riscossa di questa città e degli Stati Uniti.

Non piace passare per il “columnist” pessimista del giornale degli italiani d’America, quello che leggendolo ti incupisce la giornata. Ma, cari lettori, non farei onestamente il mio mestiere se in questo momento scrivessi che, nonostante tutto, l’anno che verrá sarà migliore, che nel mondo la tendenza va verso il superamento delle gravissime crisi economiche, politiche, sociali, ambientali e che insomma, si può guardare con fiducia al futuro.

Che il tempo che verrà sia denso di nubi cariche di tempesta, lo avete capito già tutti: il tasso di crescita della natalità negli Stati Uniti è sceso nell’ultimo anno al livello più basso toccato dagli anni della Seconda Guerra Mondiale. Già, non si fanno più figli quando si teme il peggio, e ora anche la nazione che ha sempre creduto di più nella scommessa che il domani è sempre migliore di ieri, ha tirato il freno sul proprio futuro. Del resto, la nostra Italia lo fa, battendo tutti i record nel mondo, già da molti anni.

La crisi economica-finanziaria che ha colpito l’economia globale, ormai è chiaro, non è una crisi “ciclica”, una recessione necessaria perché solo ciò che scende giù può tornare su. Quello che è stato svelato negli ultimi 4 anni ci mostra che il sistema che “dirige” il flusso di capitali che serve al motore dell’economia del benessere, non funziona più, si è bloccato. Ma come ci siamo arrivati?

Parlava del potere dell’“avidità” il protagonista del profetico film di Oliver Stone “Wall Street”: “The point is, ladies and gentleman, that greed, for lack of a better word, is good”. Ma Gordon Gekko (interpretato dal magnifico Michael Douglas) in quel film (anno d’uscita 1987!) disse ciò che uscirà dalle viscere dell’anno 2011:

“The richest one percent of this country owns half our country’s wealth, five trillion dollars. One third of that comes from hard work, two thirds comes from inheritance, interest on interest accumulating to widows and idiot sons and what I do, stock and real estate speculation. It’s bullshit. You got ninety percent of the American public out there with little or no net worth. I create nothing. I own. We make the rules, pal. The news, war, peace, famine, upheaval, the price per paper clip. We pick that rabbit out of the hat while everybody sits out there wondering how the hell we did it. Now you’re not naive enough to think we’re living in a democracy, are you buddy? It’s the free market. And you’re a part of it. You’ve got that killer instinct. Stick around pal, I’ve still got a lot to teach you”.

Non tutti le crisi che faranno tremare il mondo nel 2012 traggono origine dai mali di Wall Street, ma gli Stati Uniti non hanno oggi più la forza morale, prima ancora che di mezzi, per poter contenere e limitarne i danni. Parafrasando quindi il movimento di protesta, il 99% di americani dovrà “rioccuparsi” dell’America prima di poter salvare il mondo. Altrimenti, nel sistema bloccato che ci ritroviamo, il prossimo “coniglio” che uscirà dal cilindro tenuto in mano da quell’1%, ci porterà solo guerra e distruzioni.

Auguri a tutti per un sereno Natale e per un 2012 in cui con la democrazia si possa ridare speranze al mondo.

 

Questo articolo viene pubblicato contemporameamente su America Oggi

 

 

 

Stefano Vaccara

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