È stata da sempre circondata dalla musica, avendo come sottofondo della sua vita le tonalità jazz del padre, il musicista Salvo Finocchiaro. A tre anni ha cantato la prima canzone e poi, spinta dalla mamma, ha iniziato a scriverne di proprie, oltre a prendere lezioni di pianoforte e suonare la chitarra, lo strumento da cui non si separa mai. Il successo deve ancora arrivare, ma la 22enne catanese Roberta Finocchiaro si sta dando molto da fare. «Ho sempre sentito l’esigenza di esprimermi attraverso la musica – racconta a MeridioNews – e per me, che nella vita sono una ragazza molto chiusa, rappresenta una sorta di sfogo».
Cresciuta a suon di John Mayer, Norah Jones, Johnny Cash e Jimi Hendrix, tanto per citarne alcuni, nel 2010 mette su, insieme a due amici, la band New generation class con cui pubblica un ep. Ma la vera svolta per lei arriva il 23 dicembre del 2014, quando la produttrice Simona Virlinzi, sorella di Francesco, nota il gruppo e gli offre un’opportunità. «È venuta ad ascoltarci a una serata e da lì è iniziata la nostra avventura insieme». Senza dubbio un bel regalo di Natale. Quando il bassista decide di lasciare, la band si scioglie e Roberta continua il progetto con la Tillie records – etichetta di Virlinzi – da solista, registrando tra Catania e Torino il primo album, Foglie di carta, che uscirà a settembre.
«Ho lavorato con il cantautore torinese Alberto Bianco – spiega la giovane cantante – con cui ho curato la produzione artistica del disco e con il fonico Riccardo Parravicini, che collabora con Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè». Dopo l’uscita del primo album, Finocchiaro ha già in programma un tour che prenderà il via in Sicilia per poi oltrepassare i confini dell’isola. Nonostante le origini siciliane, emergere per lei non è stato troppo complicato, grazie «al privilegio di essere cresciuta in una famiglia di musicisti e avendo la possibilità di registrare le prime demo in uno studio professionale». E di essere apprezzata e consigliata da tanti musicisti vicini al papà, anche se non si è mai sentita avvantaggiata da questo. «Mio padre non mi ha mai aiutato in questo senso, sono state le persone a notare il mio talento, indipendentemente dal legame affettivo».
Il riscontro del grande pubblico potrebbe arrivare a breve e Roberta immagina che tra questi ci saranno, oltre ai coetanei, «gente più grande e soprattutto musicisti», che apprezzeranno il suo genere pop con sfumature blues, country e folk ispirato alle sonorità americane. Ma, sonorità a parte, Roberta vorrebbe riuscire a conquistare i fan anche per i testi, che si ispirano molto alla natura. «I miei posti preferiti si trovano in montagna, lì riesco a concentrarmi e scrivere. Nei testi parlo delle mie esperienze personali, ma racconto anche storie ascoltate in giro, che ruotano attorno al tema dell’amore e della voglia di fare nuove esperienze».
Il disco in uscita, infatti, è «la fotografia di un momento felice, la gioia di registrare il primo album con una squadra e la fortuna di aver trovato una produttrice che scommette sul mio disco, nonostante il periodo sia molto difficile». Ma Roberta può contare anche sul supporto della famiglia e degli amici che «aspettano l’uscita e sperano succederà qualcosa di bello». Eppure lei non si aspetta «tutto e subito», sta già cominciando a scrivere i pezzi per il prossimo disco e ha le idee chiare su quello che chiede al futuro.
Niente talent show, a cui è contraria perché «rovinano la musica e gli artisti vengono bruciati subito, mentre è importante crescere con la gavetta, suonando nei pub e passando anche momenti difficili». Troppe cover di band famose e nessuno spazio per nuovi talenti e canzone inedite. «La musica in Italia ormai si sta riducendo a questo e spesso non ricordiamo neanche chi esce da questi programmi». Chi sopravvive, chiarisce Roberta, vive di video e tv facendo pochissimi concerti. «Ma la musica è suonare live». Per questo il suo desiderio è «viaggiare suonando», vivere come una vera musicista. «Se poi arriverà il successo, lo affronterò. Magari trasferendomi negli Stati Uniti, che sarebbe il massimo».
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